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cultura dell'immagine e della parola

Sotto il cappello niente

Sotto il cappello niente

La storia del cinema è costellata di film più o meno dedicati ai bambini ma spesso diventati un culto anche e soprattutto per i più grandi. Il gatto… e il cappello matto sembra invece tutto tagliato ad un pubblico infantile e, se riesce ad unire generazioni distanti, lo fa al ribasso. L’adulto annoiato si rassegna durante la proiezione tentando di compiacersi della buona azione fatta portando al cinema il più piccolo che si sta a sua volta domandando quanti minuti lo separino dalla play-station lasciata a casa.

Il film è tratto dal super classico del Dr. Seuss The Cat in the Hat, libro per bambini da decenni molto in voga negli Stati Uniti dove chiunque ne conosce pressappoco le battute, e ha forse giusto il pregio di trasferire su pellicola celebri avventure parte dell’immaginario collettivo.
Quando la trasposizione origina da uno scritto così famoso il rischio è tuttavia dietro l’angolo perché, come nel caso di Troy (id., Wolfgang Petersen, 2004), la tendenza a fare paragoni è istintiva. Veder contraddetta dalle immagini la propria consolidata immaginazione è poi qualcosa di scioccante.
Limitiamoci però a guardare il film. Le tinte pastello e i fantasiosi oggetti di scena richiamano in modo efficace il mondo dell’animazione, con la differenza che in questo caso tutto è stato effettivamente costruito (incluso lo stravagante paese dove è ambientato il film) riducendo al massimo l’apporto degli effetti speciali. L’atmosfera fantastica voluta dal regista, già scenografo di Beetlejuice (id., Tim Burton, 1988) e dei due Men in Black, (Men in Black 1 & 2, Barry Sonnenfeld, 1997 & 2002) è simpatica e suggestiva ma, insieme alle trovate tecniche di uno staff di tutto riguardo, è forse una delle poche note positive del lavoro.

Si tratta infatti di un film caotico, quasi sempre strillato e in movimento, dai ritmi incalzanti e quasi stordenti, volto ad impressionare a tutti i costi i piccoli spettatori senza suscitare loro altro sentimento che la meraviglia. Il gatto con il suo cappello magico salta, corre, compare e scompare, reinventa gli oggetti e sconvolge la casa. Certo non è comune confrontarsi con un gatto parlante in grado di compiere prodezze magiche, ma si sottovaluta che i bambini di oggi sono abituati a ben altro. Effetti speciali più veri e realistici, imprese colossali e supereroi. Usano il computer e guardano insieme ai grandi i film dei grandi.
Niente a che vedere con le meraviglie della Fabbrica di cioccolato, manca la moralità (e anche la spettacolarità) dei film Disney, questo gatto è persino meno faceto di quello di Bulgakov in Il maestro e Margherita e fa quasi rimpiangere i Teletubbies.
Insomma Mike Myers sarà anche un idolo nella recitazione ma, francamente, sembra un po’ poco.

Curiosità: Per interpretare il Gatto, Myers si è sottoposto a sedute di trucco di 2 ore e mezza prima di infilare il costume. Questo, del peso di un chilo e mezzo, era realizzato con peli umani e di gatto, e al suo interno si trovavano un climatizzatore per mantenere al fresco l’attore anche in pieno sole e le batterie necessarie a muovere le orecchie e la coda, comandate a distanza.

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