Il mio migliore incubo: Vincente commedia degli antipodi
La regista di Coco avant Chanel torna con un esilarante spaccato di contemporaneità cinematografica e sociale, supportata dalle straordinarie performance di Isabelle Huppert (qui in un’inedita versione comica) e della rivelazione del cinema comico Benoit Poelvoodre (Niente da dichiarare?). Un umorismo sofisticato e genuino, quello messo in scena in questi cento minuti di piccola perla cinematografica, basata su un episodio realmente accaduto alla regista: qualche anno addietro (come ha raccontato alla stampa in occasione della presentazione della pellicola lo scorso Roma Film Festival 2011), si imbatté nel padre di un amico del figlio, un personaggio disperato e stravagante, che aveva fatto della propria precarietà lavorativa ed economica quasi un punto di forza in chiave ironica e gioiosa anziché vittimistica.
Ed è l’incontro tra questo tessuto, quello della disperazione che non si butta giù, e quello della protagonista, sofisticato ma infelice, quasi bloccato in uno status di mera apparenza e poca virtù o soddisfazione, a fare da fondamento per il film, che vede svilupparsi le proprie dinamiche grazie a convincenti, e velocissimi, scambi di battute, sguardi rubati degni di lode, scene rigogliosamente fastose o semplicemente scarne e quella che è, forse, la vera chiave dell’opera della Fontaine: la fanciullezza. Perché se nel mondo degli adulti differenti realtà possono non incastrarsi bene tra loro, o meglio, non credere di poterlo fare, è tra i bambini che la regista sembra voler mettere la base per una auspicabile redenzione. Nessun pregiudizio, nessuna frustrazione, nessuna etichetta: i figli dei borghesi progressisti di alta cultura con la sola passione per i videogiochi, mentre quelli di illetterati sono talentuosi sebbene spesso costretti a lasciare la scuola.
Piccole tragedie di ordinaria normalità, piccole rivincite di comune meraviglia: Il mio migliore incubo convince, rasserena, lascia spazio a un futuro migliore e dona ancor più respiro al cinema francese contemporaneo. Riso amaro? No, sincero, ma assicurato! E se il cinema francese sta raggiungendo enormi livelli di popolarità internazionale, vedi il pluri-decorato The Artist, a seguire i successi diQuasi amici eGiù al nord, questo nuovo lavoro della Fontaine non fa che supportare la tesi di un gran ritorno dell’Oltralpe sui grandi schermi: sagacia, ironia e risate a fior di pelle, in una storia verosimile che nell’esasperazione cinematografica trova il proprio realismo, convincendo e confermando la delizia sopraffina di una commedia ben riuscita, pulita e attinente alla realtà, scevra di volgarità seppur spassosa e convincente. E l’incontro di persone tanto diverse si fa vero nelle personalità dotate di schiettezza verbale (edulcorata o imbarazzante) e nella consapevolezza dei rispettivi fallimenti esistenziali. Sopportabili, forse, proprio grazie a questa fusione? Un plauso!
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