40 carati: mi butto sì, mi butto no…
Film piacevole, di poche pretese e ritmi ben calibrati, 40 carati è un comedy-crime movie diretto da un regista praticamente esordiente e scritto da uno sceneggiatore di film per la tv. Il prodotto è ben confezionato, con un primo tempo governato dalla tensione tipica dei thriller e un secondo pilotato dall’azione dei polizieschi. Un film dinamico, i cui ritmi sono alti fin dall’inizio, quando il presente si alterna a un singolo flashback per poi proseguire con un montaggio parallelo e una sbrigativa conclusione.
Gli attori sono tutti o quasi noti, con Sam Worthington nei panni del protagonista e l’ex Billy Elliot Jamie Bell in quelli del fratello. Elizabeth Banks (Scrubs) è la poliziotta negoziatrice ed Edward Burns, sempre relegato a ruoli di second’ordine, il superiore un po’ brusco e rozzo. Il ruolo del cattivo è, invece, affidato a Ed Harris, che interpreta l’imprenditore edile Englander, e, dall’altra parte delle barricate, alla giornalista televisiva Keyra Sedgewick, che se non è avida di denaro come il primo, lo è di certo di scoop. Un cast tutto sommato di qualità, nonostante Worthington non si distingua certo per ricchezza espressiva. 40 carati funziona dal punto di vista drammaturgico, nonostante un concept poco forte e troppo poco sviluppato. La convinzione che dietro all’intreccio di eventi che hanno condotto alla reclusione del protagonista per furto aggravato e poi alla fuga e alla minaccia di suicidio, ci sia qualcosa di grosso, con un colpo di scena d’effetto all’orizzonte, scema sempre più man mano che ci si accosta alla conclusione. E il regista prende forse un po’ in giro lo spettatore come Nick si sta prendendo gioco – ma sta in realtà prendendo tempo – di Lydia Mercer, la poliziotta/psicologa della cui presenza ha fatto espressa richiesta il cosiddetto “jumper” o “man on a ledge”.
Ci si aspetta, magari, che dietro al magnate dell’edilizia Englander, che ha accusato Nick di avergli sottratto il diamante del titolo, si nasconda la corruzione per antonomasia, il simbolo dell’ingordigia che ha portato al tracollo la finanza americana dalla Lehman Brothers in poi. Ci si aspetta quasi una lotta di classe mediatica, in cui il popolo – gli spettatori dell’aspirante suicida Nick – insorge contro il “ricco”, ma anche contro la tv e i poliziotti corrotti. Invece, ecco svelarsi un gioco di travestimenti e ribaltamento di sorti che sembra fare il verso a tanti film già visti. Ed emerge il carattere volutamente ibrido e la superficialità di un lungometraggio che mixa come può elementi degli heist movies, con i molteplici plot-twists alla Ocean’s Eleven, e il tratto caratteristico di un altro thriller passato un po’ inosservato, ma dall’eloquente titolo originale The Ledge (Punto d’impatto, 2011). Anche lì la posta in gioco era la vita umana appesa al cornicione di un edificio. L’uomo, però, voleva suicidarsi per amore, cosa che farebbero con più frequenza le donne, mentre in 40 carati l’uomo inscena un suicidio sicuramente per denaro, come suppone l’ex-collega di Nick quando lo vede sull’orlo del precipizio. E, in fondo, non ha tutti i torti.
A cura di Valentina Vantellini
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