Albert Nobbs: il dramma dell’identità sessuale e del riscatto sociale
Tratto dall’omonimo romanzo di George Moore, Albert Nobbs è un concentrato di decoro anglosassone e sapori passati: tutto perfetto nel rigoroso mondo del protagonista, in apparenza, fino a che l’epifania di non esser l’unico/a a dover celare sé stesso/a gli si paleserà di fronte come uno schiaffo in faccia. La drammaturgia del testo è ben trasposta cinematograficamente dal regista che, con l’apporto artistico di alcuni degli attori più interessanti degli ultimi tempi (un Aaron Johnson, perfetto nel ruolo del garzone-mascalzone e una delicatissima e maliziosa Mia Wasikowska sempre più protagonista del grande schermo) sostenuto dall’egregia performance di una “divina” del cinema contemporaneo: Glenn Close. L’attrice qui si cala nei panni di un “emarginato” del suo tempo, con un’infanzia tragica ed un presente mesto e silente, ma con grandi passioni interiori (amorose e di carriera) sostenute dal pathos crescente e straziante della storia.
Albert è però ben radicato nel quadro sociale dell’Irlanda dell’epoca, una terra di desolazione dove il singolo individuo sembra essere schiacciato (e il protagonista ricorda tanto i personaggi di The Dubliners di James Joyce) dall’immagine che ognuno di essi deve costruire per appartenere alla società, soprattutto le donne costrette persino a nascondere la propria identità (anche sessuale ed emotiva). L’annullamento della sessualità è la chiave del film: conseguenza necessaria per la sopravvivenza per Nobbs, è invece chiave di volta per le colleghe donne, soppresse dagli obblighi morali e dalle convenzioni sociali dell’epoca a far fronte al sostentamento economico a scapito del sentimento ed in favore dell’accettazione di corteggiamenti onerosi e di facciata. L’unico personaggio apparentemente “moderno” nella sua spontaneità quasi infantile sembra essere l’amata di Albert: Helena (la Wasikowska) è disincantata e spudorata nel cedere alle lusinghe del giovane Joe del quale s’infatua, diventandone vittima, come anche nel supportare le delicate avances del buon protagonista, più adulto e tenero ma tanto immerso nel proprio sogno di aprire una tabaccheria da non rendersi conto che questo non possa essere necessariamente condivisibile dagli altri.
Una pellicola di forte ispirazione teatrale, in cui la crudeltà psicologica regna minuto dopo minuto, nelle pulsioni represse contrastanti con la violenza verbale di alcune scene, come nel toccante finale dal sapore Shakespeariano. Una sola location principale, molti sguardi tristi e una profonda caratterizzazione del protagonista fanno del film una piccola perla di cinema che forse non passerà alla storia, ma che certamente convincerà gli amanti del genere, in primis per la liberatoria scena sulla spiaggia di metà pellicola, dove apparenze ed esistenze sembrano mescolarsi divertenti e pericolose come in un’opera di pirandelliana memoria.
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