Un realismo magico che fa rimpiangere il cinismo
Com’è noto a tutti, Allen sforna un film all’anno da quarant’anni (da sempre insomma), ma ultimamente il regista newyorkese sta attraversando una fase di ristagno creativo. A una prima superficiale indagine sembra che non ci sia niente che non vada: l’appiglio di Woody è sempre quello, l’ironia è grossomodo inalterata, i messaggi sono quelli di trent’anni fa (la vita non ha senso ecc.).
Ma allora, cos’è che manca all’Allen degli ultimi tempi? Risposta: le unghie. Woody ha perso quel sarcasmo con il quale è riuscito a mettere a nudo l’insensatezza e l’irrazionalità della vita e dei comportamenti umani. Stiamo parlando di sana cattiveria, non di sadico accanimento sui personaggi basato sulla mancanza di idee (vedi Sogni e delitti). Quello che un tempo Allen faceva (e lo faceva divinamente) era calare il grottesco nella realtà onde poter meglio individuarne le contraddizioni e i difetti; il suo recente vizio consiste invece nello descrivere nei termini più realistici possibili una situazione paradossale (come in Vicky Cristina Barcelona: è già complicato un rapporto di coppia, figuriamoci in tre!).
In Midnight in Paris, Allen ripercorre ancora una volta la strada della “bella favoletta fantastica”. L’accusa più consueta che si rivolge negli ultimi anni a Woody è di ripetere le stesse cose, non dire nulla di nuovo. Questa affermazione, seppur veritiera, è totalmente irrilevante nel descrivere la parabola discendente di un grande cineasta. Basti vedere il suo Whatever Works, di soli due anni fa; non aggiunge nulla di nuovo alla visione alleniana del mondo, ma è bastato introdurre un espediente nuovo (geniale) come quello del metacinema e lustrare un poco l’antico cinismo (“Il nostro matrimonio non è stato un giardino di rose, botanicamente parlando tu sei più un’orchidea carnivora”) perché ne uscisse fuori un gioiellino, come ai bei vecchi tempi. Manca la cattiveria, ma in questo nuovo film al regista di New York sembrano mancargli anche le idee. Non basta averne una sola e da quella poi imbastirci l’intero corredo di battute. Questo ha fatto Woody: ha trasportato lo scrittore Gil nella Parigi degli anni Venti e da questo avvenimento irreale ne ha ricavato una sequela di situazioni comiche (Gil incontra Fitzgerald, e fa ridere, Gil incontra “Tom” Eliot, e fa ridere, Gil suggerisce a Buñuel la trama di “L’angelo sterminatore”, e fa ridere). L’unico incontro veramente irresistibile è quello con Dalì, il quale, sebbene sia caratterizzato secondo i comuni stereotipi (come tutti i personaggi famosi del film), è il più divertente tra tutti.
Curiosità
Kathy Bates interpreta Gertrude Stein, Tom Hiddelston e Alison Pill sono i coniugi Fitzgerald, mentre Adrien Brody è Salvador Dalì.
A cura di Riccardo Vanin
in sala ::