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Auditorio romano

Appena arrivati all’Auditorio di Roma, la sensazione è quella delle grandi occasioni. Molti stand, molti grandi marchi sponsor, composizioni floreali innovative che manco a Sanremo, un pulitissimo e larghissimo tappeto rosso, la postazione per la diretta di Radio 2. Non manca niente. Arrivata alla sua sesta edizione, la kermesse romana ha da subito conquistato un posto nella classifica degli eventi mediatici più chiacchierati: molti gli ospiti di primo piano passati di qui, le star, i grandi maestri e alcuni tra i giovani più interessanti. Eppure ogni anno si viene qui e ogni anno ci si lamenta.

In giro per gli spaziosi corridoi dell’Auditorio, di corsa per raggiungere una proiezione scelta rinunciando a un’altra, quando magari due ore dopo non si ha niente da fare, si respira scetticismo. Poco presente il pubblico, seppur numeroso nel weekend, che non ha nemmeno intasato l’evento Twilight con Nikki Reed e Jackson Rathbone, mentre gli accreditati stampa (molti italiani, più che altro romani, pochissimi stranieri) pur lodando la bella sezione L’altro Cinema | Extra diretta da Mario Sesti rimangono, appunto, scettici.

Quest’anno molte pellicole presentate erano già in uscita e hanno sfruttato il red carpet romano per un’anteprima promozionale (Pina 3D, Il mio domani, La kryptonite nella borsa) poco sentite dagli addetti ai lavori, che avevano già visto il film, e non così partecipate dal pubblico. Altri arrivavano direttamente da Toronto o altri festival (The Lady). Inoltre il livello generale delle opere risulta di estrema medietà: nella classifica del Mouse d’oro, il premio della critica online, pochissimi sono i titoli con un voto che supera la mera sufficienza, pochissimi quelli sotto al cinque.

E allora ci si domanda: “a che pro questo festival?”. Lungi da noi sostenere l’inutile bagarre Venezia/Roma (fare posto per tutti è un bene per il cinema), ma lo scetticismo generale ci induce una riflessione: non sarebbe meglio creare un evento di festa, senza una sezione competitiva, che permetta di riavvicinare il pubblico (e non la stampa e gli addetti ai lavori) ai film? Quella era l’idea iniziale, e non era affatto sbagliata. Il concorso e gli eventi speciali, invece, al posto che traghettare, soffocano le altre occasioni di incontro e passione per il cinema, come i bellissimi documentari Girl Model di David Redmon e Ashley Sabin e Project Nim, presentato in Extra, alla presenza del regista premio oscar James Marsh (Man on Wire). Chi ne ha parlato? Solo le webzine e pochi altri. Sappiamo che il mondo gira così, ma perché assecondarlo sempre?

Ci piacerebbe vedere l’Auditorio pieno di gente, di ragazzi delle scuole, di associazioni culturali, di curiosi addetti ai lavori che vogliono vivere l’evento per conoscere e condividere. Ci piacerebbe che gli stand proponessero cibo autoctono (impossibile mangiare un’amatriciana), gadget a tema e servizi primari (non c’è un’edicola!). Ci piacerebbe vedere i romani vivere il festival anche grazie a servizi pubblici che uniscono la città all’evento e invece la navetta non arriva neanche in Piazza Repubblica dove c’è una delle sale del programma ufficiale. Ci piacerebbe vedere proposte per il futuro che riguardino le nuove forme della distribuzione che possano coinvolgere le giovani generazioni. Ci piacerebbe, ma non avviene.

Nonostante tutto ci dispiacerebbe non tornare l’anno prossimo e saremo ancora lì, in prima fila, a fare gli scettici (speriamo di no), continuando comunque ad amare ogni luogo, ogni consiglio direttivo, ogni sottobosco romano, ogni singola volontà che ci faccia vivere il cinema.

Hideout al Festival Internazionale del Film di Roma
Auditorio romano: Ci piace/Non ci piace
Mouse d’oro: la premiazione
I vincitori

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