Lo spettacolo della crudeltà
Il figlio della coppia Winslet/Waltz si mena con il figlio della coppia Foster/Reilly, un giorno, in un parco di Brooklyn. Non lo massacra di botte ma gli fa piuttosto male (solo qualche dente da raccogliere) tanto che la coppia W./W. (Nancy e Alan Cowen, borghesi benestanti, mediatrice finanziaria lei, avvocato lui), per rimediare, si reca nell’appartamento dei coniugi F./R. (Penelope e Michael Longstreet, borghesi mediobenestanti, autrice di libri sul Darfur lei, commerciante lui), dimostrando di essere persone civili, difensori del principio che “tutto si può risolvere”.
In realtà, loro persone perbene, non risolveranno nulla perché Carnage mette in scena la violenza, l’ira, l’incontrollabile pulsione di radere al suolo il nemico, o chi, in quel preciso istante, si trasforma nel nemico. Carnage, quindi, è un film che racconta la stretta relazione tra l’uomo e il Male. È un film sulla cattiveria delle persone che conoscono le buone intenzioni, le prodigano, ma optano per tutelare la propria integrità. Una sorta di corollario di cattive intenzioni recitato da cattivi maestri (i genitori che non sanno educare i figli resta un tema tosto, ma visto già tante volte) che sembra tanto una predica alla società contemporanea e se Carnage si limitasse a questo, allora basterebbe leggere la sceneggiatura, oppure recuperarlo a teatro o anche solo ascoltare le voci degli interpreti, senza vedere. Ma questo è cinema.
E Polanski è scomodo e vorace di cattiveria fin dalle prime inquadrature e il suo film, tratto dalla pièce teatrale di Yasmine Reza, si trasforma in un marchingegno perfetto in cui le unità spazio-temporali rispettate e compresse in 79 minuti (escluso il parco, set del prologo e dell’epilogo, la scena si svolge tutta in un appartamento, con un ballatoio e un ascensore come uniche vie di fuga) esaltano la potenza delle immagini, i movimenti di macchina, il ritmo adrenalinico e le atmosfere asfissianti.
Siamo di fronte ad un cinema potente, chiuso dentro un ambiguità morale destabilizzante, che mette in scena la finzione dell’umanità che lentamente si specchia in una realtà che si rivela essere bestiale. È un processo graduale, lento, massacrante, come se la lama di un coltello entrasse poco a poco nell’occhio dello spettatore. E, infatti, il film è un massacro che non concede tregua.
I primi momenti del film risultano paradigmatici in questo senso. Il piano-sequenza-prologo ci mostra la violenza impulsiva, che corrompe e irrompe, da un punto di vista protetto, quasi a distanza di sicurezza: la violenza si vede, ma soprattutto si percepisce. La seconda inquadratura ci mostra la Foster di spalle, intenta a compilare una dichiarazione dove si citano minuziosamente i dettagli del duello che ha ammaccato il suo malcapitato figliolo. Qui Polanski nasconde il volto della donna e esclude i corpi degli altri tre personaggi, facendo intuire la poca trasparenza e affidabilità delle relazioni-alleanze che andranno a formarsi da lì a poco.
Dopo aver ampiamente mostrato la natura dei quattro esseri umani coinvolti (vittime e carnefici, forse, tutti con la stessa quantità di colpe e sensi di colpa, ma certamente non tutti consapevoli dei propri orrori), Polanski insinua l’ambiguità dei quattro cialtroni (in fatto di integrità) e rivela la loro doppia identità attraverso ciò che per davvero (sembra dirci) caratterizza l’uomo di oggi: le cose. Quelle nel frigo, nella borsa, sul tavolo, sulle pareti (quanti specchi!), per terra, sopra, sotto, di là, di qua, sul ballatoio (s’intravede Polanski, inquilino del terzo piano, ma non l’ascensore), il vomito della Winslet (epocale!), il Blackberry di Waltz (straordinario anche solo quando chiede il whisky), i sigari di Reilly e il Bacon (l’arte come manifesto-sintesi-concetto-idea-ponte del film!) della Foster.
Resta la sensazione che da quell’appartamento sia impossibile uscire e persiste l’idea, inoltre, che i quattro personaggi siano in quell’appartamento da sempre. È un film sull’eternità e la ciclicità del Male, qui rappresentato da forze che si oppongono in nome dell’ipocrisia, della vanità, dell’invidia. Perciò, là fuori tutto si sistema, ma là dentro no. Non lo possiamo vedere.
Curiosità
Presentato in Concorso alla 68 Mostra di Arte Cinematografica di Venezia, il film non ha ricevuto alcun premio ufficiale. Sebbene la storia si svolga a New York, le riprese degli interni sono state effettuate interamente a Parigi. Carnage è anche il nome di un personaggio Marvel, Cletus Kasady, uno psicopatico e pericolosissimo criminale, nemico di Spider Man.
A cura di Matteo Mazza
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