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Sull’umana fragilità

Sull'umana fragilità

Per Nanni Moretti, la messa non è finita. Battuta scontata che si è letta, e udita, nei mesi di attesa eccitata e caliginosa che hanno preceduto l’uscita di Habemus Papam. Battuta che la prova dei fatti incrina platealmente. Sia il capolavoro del 1985 che quest’ultima fatica vertono, è vero, sulle figure di uomini inadeguati. Ma se don Giulio, interpretato, non dimentichiamolo, da Moretti stesso, era un giovane e volenteroso servo di Dio che aveva accettato la propria missione con trasporto, salvo poi trovarsi inviluppato in una realtà così nodosa che la rettitudine dei suoi propositi non riusciva ad attecchirvi (ragion per cui La messa è finita è, fondalmente, un film sull’inanità del bene), il cardinale Melville, così cinematografico fin dal cognome, è un personaggio diverso. La sua inettitudine viene da dentro, è una frattura soggettiva. Materia da psicanalisi, non a caso. La trasparenza della fede non è in discussione. Una sofferenza più misteriosa lacera i precordi del neo-eletto papa e lo spinge alla fuga. Una sofferenza che va cercata alla voce vulnerabilità, e quindi tra le attitudini e le imperfezioni che rendono gli esseri umani tali, senza eccezione per nessuno, nemmeno il Vicario di Cristo.

Habemus Papam è, in fondo, questo. Una riflessione sulla fragilità umana, e sui moti inconsulti che essa può generare nell’animo. Un film psicologico, quindi, nonostante l’originalità della trama. Peccato, pertanto, che la sceneggiatura si riveli così sommaria e frettolosa proprio nella plasmazione dei personaggi, e, di conseguenza, nelle azioni che essi sono portati a compiere. Il male morale di Melville sembra consistere, alla fin fine, solo in accessi di collera sotterranea, in parole sconclusionate (forzato ravvisarvi una metafora dell’inesprimibile), in una peregrinazione disorientata che approda a un turning point imposto da ragioni drammaturgiche più che spirituali. Così come, tutto sommato, piani (piatti?) risultano anche gli altri personaggi, ognuno arroccato nel suo rigido ruolo senza possibilità di un’osmosi che trascenda l’orizzonte della battuta a effetto: lo psicanalista ateo e darwinista (una silloge di Moretti), i cardinali con le loro convinzioni. Una parentesi potrebbe essere aperta sui personaggi inutili, come l’ex moglie di Brezzi che sopravvive solo della performance di Margherita Buy, ma non l’apriremo. O per i riferimenti, poco più che illustrativi, al Gabbiano e a Cechov, rappresentato dalla compagnia di teatranti. Non apriamo neanche questa.

Certo, i momenti divertenti non mancano, e proprio sul piano della grazia, di una garbata leggiadria, scandita da interludi poetici come il ralenti della partita a pallavolo dei cardinali, la commedia riguadagna ciò che perde altrove. E, tra fiammate visionarie, come la platea teatrale cinta d’assedio dai religiosi, degni del Moretti più suggestivo (Palombella rossa, Il Caimano), e immancabili siparietti musicali, Michel Piccoli ci consegna una prova d’attore che è difficile dimenticare.

Curiosità
A una settimana dall’uscita del film, il cardinale Gianfranco Ravasi ha dichiarato che Moretti gli portò il progetto di Habemus Papam (per ottenere l’autorizzazione a girare in Vaticano, come preciserà il regista); Ravasi non volle vederlo, a sua detta, per non avallarlo.

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