Sotto quel cielo
Berlino 2011, giorno 1
È una Berlino che si sveglia con il sole quella di stamattina, freddo ma meno degli altri anni, un giorno importante, in cui si inaugura la 61esima edizione della Berlinale. L’apertura è infatti quella delle grandi occasioni, affidata quest’anno ai fratelli Coen con True Grit, pellicola in corsa agli Oscar con ben 10 candidature, tra cui quelle di miglior film, regia e attore protagonista (Jeff Bridges).
Ma veniamo con ordine. La giornata si apre con la presentazione della giuria, presieduta da Isabella Rossellini, composta tra i suoi membri, dalla costumista – triplice Premio Oscar Sandy Powell, dal regista Guy Maddin, ma soprattutto dalla presenza – assenza del regista iraniano Jafar Panahi, che come avvenuto anche a Cannes lo scorso anno (la sua prigionia allora scatenò una “sommossa” da parte del cinema internazionale imponente), anche qui non potrà essere presente a causa invece della condanna a 6 anni di reclusione, e che gli impedisce di lasciare il proprio paese e di produrre opere per vent’anni. La sua sedia in conferenza stampa è vuota, ma lui è come se ci fosse, e per questo viene accolto da un fragoroso applauso. “È triste che lui non ci sia – dice la Rossellini – ma speriamo fino all’ultimo che riesca a venire. Jafar è una presenza molto importante in questa giuria, è un ambasciatore della cultura, della libertà di parola e della dignità umana.”
Sono le 12, l’ora in cui scatta ufficialmente il Festival con la prima proiezione stampa di True Grit, letteralmente piena in ogni ordine di posto. A distanza di 12 anni dalla loro ultima presenza alla Berlinale (nel 1998 furono in concorso con Il grande Lebowski), i Coen tornano alla kermesse (anche se non in gara), ma soprattutto a lavorare con Jeff Bridges. La pellicola, tratta dalla novella di Charles Portis, che ispirò il famoso film del 1969 con John Wayne, è uno sforzo corale di forza e d’intelligenza, un ripercorrere la metodologia western nei suoi canoni più classici, ma con accenti e linguaggi (forse) meno tradizionali del previsto. La storia è nota: una ragazzina (interpretata dalla debuttante quattordicenne Hailee Steinfeld, nominata all’Oscar per questo ruolo) cerca di vendicarsi della morte del padre, inseguendone il killer (Josh Brolin) grazie all’aiuto di un “grintoso” sceriffo federale (Bridges) e di un ranger del Texas (Matt Damon). Non un remake come molti hanno sostenuto, bensì un omaggio ad un genere, ma soprattutto alla novella di Portis. “Siamo rimasti letteralmente entusiasti dalla novella originaria – dice Joel Coen – tanto che quando l’abbiamo letta qualche anno fa abbiamo deciso di portarla sullo schermo. Questo film è importante per i dialoghi, è grazie a quelli che si notano le sfumature, gli accenti, e su questo è stato fatto un lavoro sul linguaggio davvero notevole. Per gli americani, dal punto del vista del vernacolo, questo film può insegnare a riscoprire qualcosa di importante.” E infatti la chiave di tutto sta nel lavoro di sceneggiatura e regia dei Coen, minuziosi come sempre, maestri nel rielaborare e riproporre allo spettatore le storie più originali, tanto quelle più consacrate (Non è un paese per vecchi). Un risultato che giustifica ampiamente le candidature agli Oscar di quest’anno, grazie anche a un cast, Bridges e la giovane Steinfeld su tutti, capaci di non tradire le aspettative, appassionando, anche un briciolo di ironia. “Innanzitutto i Coen sono dei Maestri assoluti – commenta Jeff Bridges – i migliori con i quali ho collaborato, geniali, ma soprattutto semplici, e sono felice che il pubblico oggi abbia capito che siano di un livello superiore. Per quanto riguarda il mio ruolo, avevo letto il libro di Portis e mi era piaciuto, ma soprattutto sono rimasto affascinato dalla sceneggiatura scritta da Joel ed Ethan, un valore aggiunto sicuramente, anzi direi che leggendo la novella sembrava proprio di essere davanti ad un romanzo scritto degli stessi Coen.”
A cura di Andrea Giordano
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