Il cinema, l’ultima grande ideologia
Mi piaceva sognare: questa è l’unica spiegazione che Salvatore sa dare della sua passione, questa l’unica giustificazione del suo gesto, ovvero rubare dalla sezione del partito comunista della sua città, sezione fondata da suo padre e di cui lui fa parte, i soldi per acquistare un proiettore; furto grave anche perché quei soldi servono ai compagni per andare a Roma ai funerali di Togliatti. Salvatore ruba questi soldi, ma non perché sia un cattivo ragazzo, né per sfregio a suo padre (che non odierà nemmeno dopo esser stato rinchiuso in riformatorio) e nemmeno per far soldi da questa impresa, quasi fosse un piccolo precoce imprenditore. Egli ruba i soldi alla causa, nello specifico quella operaia, per una causa per lui molto più importante: quella del cinema, quella di portare il cinema in una città dove non c’è e dove ci sono donne come la sua anziana vicina di casa, che in più di settant’anni non ha mai visto un film.
Quella del ragazzo per il cinema è una passione, una devozione pari a quella che suo padre ha per il comunismo, ma proprio colui che più dovrebbe comprenderlo lo ostacola, definendo il suo credo una perdita di tempo. Ma così come il padre di Salvatore è disposto a far chilometri per andare al funerale del suo leader, allo stesso modo il ragazzo è disposto a far chilometri per andare con i suo amici al cinema più vicino, attraversando la campagna meridionale piena di sole, dalle zolle assetate. Così come la rivoluzione è il grande sogno del padre di Salvatore, il cinema è il grande sogno del ragazzo, la sua personale ideologia. A dire il vero, nemmeno troppo personale. Se non fosse una parola ormai così insozzata, vedendo i compagni intenti a osservare il funerale di Togliatti, impressi su di una pellicola faticosamente recuperata, vien quasi da dire che forse è proprio il cinema l’unica, grande “ideologia” sopravvissuta al XX secolo. Ideologia viene da idea: di quali idee è custode e promulgatore il cinema? Giuseppe Papasso risponde a questa domanda con la sua storia semplice e romantica, come lo sono tutte le storie d’amore, mostrando quali siano le idee, i concetti che il cinema porta con sé: quello di trasgressione (simboleggiato dal cartellone de La dolce vita di Fellini, vietato ai minori); quello di emancipazione (donne e uomini guardano i film proiettati da Salvatore, in un sud dove le donne non son tali, bensì femmine); quello di rivoluzione. A dispetto dei proclami contro lo stato borghese, è proprio a questo stato che il padre di Salvatore affida suo figlio, affinché venga rieducato.
In questa Potenza sonnacchiosa per l’afa e per un progresso che tarda ad arrivare, l’unico gesto realmente rivoluzionario è compiuto proprio da questo ragazzo che, mentre gli adulti aspettano il segnale, si arma di coraggio e porta a termine la sua personale rivoluzione, quella dei sogni. Un giorno della vita, dunque, non è semplicemente la vicenda di un ragazzino e della sua passione: è un piccolo tributo, sincero e affettuoso, al cinema e alla sua storia, ai sogni, l’unica vera rivoluzione per cui vale la pena combattere.
A cura di Saba Ercole
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