hideout

cultura dell'immagine e della parola

L’insostenibile leggerezza dell’ombra

«Piacere, sono la sua ombra». Può essere riassunto così il primo incontro in cui l’ex Primo Ministro britannico Adam Lang incarica il ghostwriter di scrivere le sue memorie. Non ci sono nomi, né cognomi, come nel romanzo da cui è adattata la storia per il grande schermo – Il ghostwriter (titolo originale The Ghost) di Robert Harris – così pure nella sceneggiatura a quattro mani scritta con Roman Polanski, per l’omonimo lungometraggio, un film intrigante e spietato per ciò che dice e per come lo mostra. La scelta dell’esiliato regista è quella di seguire fedelmente la trama originale negli snodi principali, rappresentando con realismo e asciuttezza formale sia i protagonisti, sia le figure di contorno. Il risultato è impeccabile: un thriller politico sobrio, come non se ne vedevano da tempo, lineare, teso e dalle atmosfere cupe, con turning points accuratamente studiati e un’uscita di scena in puro stile polanskiano, nella quale il protagonista viene definitivamente risucchiato dalla sua peggiore paura: il gorgo dell’anonimato. Quasi come un nuovo Jake Gittes (eroe caduto del torbido Chinatown), l’uomo nell’ombra si vede scivolare dalle mani la possibilità di riscattarsi da un’esistenza in sordina, dedita com’è all’altro, a causa di un lavoro che coincide con la stessa vita privata.

Osservando attentamente, è possibile scorgere un drammatico parallelismo tra la condizione del ghostwriter e quella dello stesso Polanski, regista ormai ombra di se stesso, divenuto un fantasma ripudiato dalla patria di adozione. Gli Usa, a quanto pare troppo bigotti per lasciar impunito lo stupro denunciato dopo anni di silenzio, si sono dimostrati certamente incuranti per la perdita di un grande maestro. La sceneggiatura firmata Harris e Polanski è precisa e sofisticata e la pellicola restituisce quell’atmosfera al limite del sogno – o meglio dell’incubo inteso come realtà cui è difficile credere e abituarsi – che l’innominato scrittore di autobiografie vede erigersi intorno a sé e che lo porta nel definitivo oblio. È il sogno di vita non vissuta, di morte in vita, realizzato da un uomo comune nei panni di un esponente politico di importanza internazionale, esposto prima al vituperio collettivo, poi alla scenografica distruzione e infine alla pietà pubblica.

Lo spirito del romanzo è conservato per tutta la durata del film: i colori grigi, le nebbie, il vento, gli interni scarni e gli esterni selvaggi, la bruma dell’oceano. Degna di nota la concreta e realistica sequenza in cui Ewan McGregor (nel ruolo di “ghost”) si fa guidare dal navigatore dell’auto del suo predecessore Mike McAra per scoprire, senza volerlo, nuovi, importanti indizi. L’unico dettaglio che forse stona per i lettori del libro è la residenza in cui vive in esilio l’ex capo del governo inglese: una villa iper-moderna, con un’architettura e un design troppo ricercati. Un difetto che si avverte ancora di più nell’allestimento della camera da letto del precedente ghostwriter, morto suicida – così pare – nell’antefatto del film. Ciò non sminuisce il grande lavoro degli scenografi che restituiscono bene l’impatto avuto dal mondo [img4]politico sul protagonista: un distacco totale dal mondo ordinario della gente comune. Chi delude è Kim Cattral (nota al pubblico soprattutto per Sex & The City). L’attrice, che offre una prova decisamente sottotono, pare un po’ attempata per ricoprire la parte di Amelia Bly, l’assistente di Lang che i ritratti di Harris tratteggiano come donna più giovane e pimpante. Il cast, per il resto, è perfetto e di alto livello: Pierce Brosnan, Tom Wilkinson, James Belushi, Timothy Hutton, Olivia Williams, che rende alla perfezione il ruolo di Ruth Lang e Ewan MacGregor nella parte del “fantasma”, ovviamente.
Il ghostwriter risulta così un’ottima prova di regia e un eccellente adattamento.

Il ghostwriter, romanzo di Robert Harris, 2007
L’uomo nell’ombra, regia di Roman Polanski, 2010

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»