I film di Roma 2010
Oranges and Sunshine
Quando pensi che un figlio non segua le orme paterne, puntualmente vieni smentito, qualche volta anche con successo. Succede con Oranges and Sunshine di Jim Loach, figlio del grande Ken, regista per molti anni di serie televisive, qui all’opera prima assoluta. La pellicola affronta uno dei momenti più sconvolgenti e drammatiche della storia inglese, quella della deportazione di 130.000 bambini indigenti inviati in Australia tra il 1920 e il 1960. Ad indagare su questa atroce pagina è un’assistente sociale, Margaret Humphreys (interpretata da Emily Watson), che a seguito di una lettera ricevuta da una giovane donna decide di iniziare a far luce sulla vicenda.
A metà anni Ottanta iniziano ricerche e incontri con i sopravvissuti, uomini e donne, ex bambini impauriti ora cinquantenni, che attraverso i propri racconti rivivono il trauma, gli abusi, le privazioni, l’incubo di quel periodo, tra fame e lavori forzati. Un orrore di proporzioni incredibili, fatto di violenze, abbandoni e pedofilia, inflitto da Istituti – lager, come l’orfanotrofio Bindoon (davvero esistito), per la maggior parte gestiti da religiosi. La Watson è bravissima nel personaggio della Humphreys, figura chiave e di svolta, che è riuscita ad ascoltare decine e decine di storie (fino all’esaurimento fisico e nervoso) fino a raccogliere materiale e informazioni utili ad aprire l’inchiesta che poi ha portato nel 2009 alle scuse ufficiali nei confronti degli ex deportati. Loach invece scuote rievocando con dolore, senza però addentrarsi troppo nei dettagli più spinosi. È una scelta di stile, asciutta e non retorica, è cronaca della memoria.
“Gli eventi che abbiamo raccontato – dice Loach – nessuno ha potuto davvero smentirli pienamente, anche se dopo diverse indagini e un’accusa ufficiale sono arrivate le prime ammissioni e le successive scuse. “ Il film prende chiaramente una posizione molto dura nei confronti della Chiesa di allora, che nascose agli occhi del mondo questi abusi. “Da madre – dice la Watson – sono rimasta immediatamente inorridita da questa vicenda, in particolare per come le istituzioni religiose del tempo abbiano cercato di mettere a tacere tutto.” Inevitabile per il regista un paragone con il padre Ken. “Da giovane – dice Loach – non avevo la minima idea di fare il regista, ma poi è arrivato quasi un colpo di fulmine per questo mestiere e non l’ho più abbandonato. Chiaramente nel mio cinema c’è molta influenza di mio padre, ma anche di altri grandi registi.”
Pellicola tra i favoriti in vista dei premi finali.
A cura di Andrea Giordano
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