Venezia, i film:
La solitudine dei…
Con La solitudine dei numeri primi, suo romanzo d’esordio nel 2008, Paolo Giordano ha conquistato grandi consensi di pubblico (più di un milione di copie vendute) e di riconoscimenti prestigiosi, come il Premio Campiello Opera Prima e il Premio Strega. Oggi lo sforzo creativo dello scrittore torinese prende finalmente vita visiva grazie al nuovo film di Saverio Costanzo, quarto e ultimo film italiano in concorso qui alla Mostra.
La storia è quella ampiamente conosciuta di due persone, Alice (interpretata dall’ottima Alba Rohrwacher) e Mattia, (il giovane attore teatrale Luca Marinelli), le cui vite vengono profondamente segnate da episodi accaduti nelle rispettive infanzie. La prima, a seguito di un incidente sugli sci, rimane zoppa a vita. Il secondo, intelligente ma autolesionista, vive con i genitori e con una sorella gemella affetta da ritardo mentale. Due destini diversi, accomunati però dalla soitudine, che si incrociano per la prima volta a scuola, dando inizio ad un rapporto privilegiato e ricercato che durerà nel tempo. “C’é un enorme dolore nel romanzo di Paolo – dice Saverio Costanzo – e l’unico modo per rappresentarlo era l’horror, anche in chiave ironica, che ha permesso di sdrammatizzare e di rendere più accessibile la sofferenza.“ Costanzo dirige in maniera onesta, senza troppi ricami, e anche se per qualche tratto il film risulta lento e stopposo, la storia scorre, facendosi comprendere per quella che è. Grande lavoro fisico dei protagonisti, rispettivamente dimagriti e ingrassati. “Uno dei conduttori del film – continua Costanzo – è stato proprio il corpo e su di esso abbiamo fatto un grande lavoro, mi attraeva l’idea di stravolgerlo nell’arco di 20 anni. D’altronde uno dei compiti del cinema non deve essere quello di rassicurare, ma di spaesare. L’unico vero rammarico è il fatto di non essere riuscito a tradurre la genialità e l’ossessione matematica di Paolo”.
Utilizzo della musica cruciale per buona parte del film, roboante ed elettronica (il film tocca, in anni diversi, gli anni 80 – 90 – 2000 con l’apporto anche dei Goblin), alla quale si contrappongono invece gli ultimi venti minuti, del tutto silenziosi. “L’idea era quella della distrazione. – continua il regista – La musica serviva a storicizzare la piccola epica del film, quindi per concentrarmi sull’ultima parte della pellicola dovevo creare casino prima”. “Con Saverio – commenta infine Paolo Giordano, qui anche co-sceneggiatore – è stato un continuo scambio. Quando ho visto il film, quasi in fase definitiva, mi sono commosso di cose che mi avrebbero dovuto commuovere prima”.
A cura di Andrea Giordano
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