L’altra Venezia: Sono, Galter, Svankmajer…
Orizzonti, contro-campo italiano, giornata degli autori, settimana nella critica e la sempre più interessante sezione fuori concorso: il motore “collaterale” di Venezia 2010 non ha smesso di girare negli ultimi due giorni, sfornando titoli significativi, a volte piccoli gioielli, altre volte vere e propri capolavori che meritano di non essere persi di vista.
Ieri il vero evento atteso da molti era l’anteprima mondiale del nuovo lavoro dell’estremo Sion Sono, autore giapponese diventato un cult del genere “gore” (su tutti ricordiamo Suicide Club) e che a fatto capolino al Lido per presentare il suo Cold Fish nella sezioni orizzonti: thriller a tinte forti, ispirato alla vera storia di due assassini seriali giapponesei, Gen Sekine e Hiroko Kazama, allevatori di cani condannati alla pena di morte per aver avvelenato e smembrato le loro vittime. Sion Sono cambia il contesto, ed immerge la storia dall’allevamento di cani a quello di pesci tropicali, contaminando il film con una “glacialità del male” degna dei Coen in Fargo. Prodotto dalla Sushi Typhoon (nuovo progetto creato dalla storica Nikkatsu per distribuire in Giappone e USA cinema giapponese di registi come Takashi Miike, Yuji Shimomura e Yoshihiro Nishimura) Cold Fish era stato annunciato come un’opera meno “violenta” dei precedenti lavori dell’autore. Ma in realtà non mancano le scene pulp che arrivano e veri e propri bagni di sangue. Eppure è l’incredibile freddezza degli assassini di Sion Sono che colpisce davvero allo stomaco, non i loro delitti disumani. Fredda e meticolosa metafora della doppia faccia della società giapponese, Cold Fish è un thriller che appassiona e disturba, fino a regalare un finale nello stesso tempo liberatorio ma inquietante.
Sempre per Orizzonti è invece è stata invece la volta di Caracremada, lungometraggio d’esordio del catalano Lluis Galter. Letteralmente in catalano facciabruciata alias Ramon Vila, è la vicenda eroica di un militante anarchico della Cnt che decide di continuare le azioni di sabotaggio contro il regime di Franco malgrado la sua organizzazione abbia diramato l’ordine di rinunciare alle attività sul territorio spagnolo. Quasi in un deja-vu del film in concorso Essential Killing, il regista catalano Galter ricostruisce la storia del militante catalano, avvicinandosi con naturalezza al personaggio ed evitando praticamente i dialoghi e scene d’azione di ogni sorta. Con una fotografia “sporca” al punto giusto e lunghe panoramiche sulle campagne catalane, Caracremada non sfiora mai la retorica: il rischio è aggirato grazie a un riuscito esperimento stilistico che cerca evidenziare le connessioni di un’avanguardia culturale (la terra catalana) con la storia di uno dei suoi più grandi eroi di sempre.
Per la Settimana della critica è da segnalare il film Martha, produzione messicana così come il regista, Marcelino Islas Hernández. La storia di un’impiegata settantenne che nel giro di pochi perde prima il lavoro a causa dell’avvento del computer e subito dopo l’unica amicizia che le era rimasta, l’anziana e malata vicina di casa. Decide di farla finita con la propria vita, aiutata moralmente dalla ragazza che ha preso il suo posto in ufficio. Un affresco nero (e a tratti grottesco) sul ricambio generazionale, sulla solitudine della terza età e sulla difficoltà di dare un senso a una vita arrivata quasi al termine. Lo stile claustrofobico di Martha, i colori opachi della fotografia e l’incredibile recitazione della protagonista colpiscono nel basso ventre lo spettatore. Impossibile non uscire dalla sala distrutti. E forse migliori.
Le vere sorprese però sembrano arrivare nella sezione Fuori Concorso. Come il film Surviving Life presentato dal maestro praghese d’animazione Jan Švankmajer. Un meta-film dissonante con tutto il resto della Mostra fin dal suo stile registico, giocato su uno sperimentale collage fra attori reali, fotografie e disegni animati. Il risultato è un viaggio grottesco ed onirico, carico di immaginari psicologici alla Charlie Kaufmann e condito da continui sberleffi agli stereotipi di ogni sorta che convulsano in maniera improvvisa ed imprevedibile. Jan Švankmajer trascina il suo film nella surrealità più irrivente, fino a farlo esplodere in una scena finale lancinante e visionaria, tenera ed amarissima al tempo stesso. Da vedere assolutamente.
A cura di Daniele Lombardi
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