Da via Gemito al Cinema
Cinema e letteratura, dove si incontrano e come si innamorano, quanto possono odiarsi e con quale magia sanno stregare l’animo umano: lo si può capire da quest’ultima prova narrativa di un uomo, Domenico Starnone, che li ha conosciuti e attraversati entrambi, i mondi del cinema e quello letterario.
E’ il suo rapporto con la settima arte quello che emerge dal racconto di un ragazzino cresciuto a pane e sogni di cinema nella Napoli proletaria dell’immediato dopoguerra: alla scoperta del mondo nell’atmosfera delle sale cinematografiche di quel tempo, dove si entrava anche a metà dello spettacolo e dove Fellini raccontava l’Italia del boom economico, mentre sullo sfondo c’era una famiglia, tante famiglie, che volevano dimenticare la povertà ed entrare a far parte del miracolo economico. E’ lì che entrava in gioco il Cinema, quello con la C maiuscola che comprendeva l’identificazione con le storie raccontate, le fantasticherie, i sogni mutuati dal grande schermo, l’amore per gli attori e un modo di vivere la sala che era spazio di vita e non visione silenziosa e (più o meno) composta come accade ora. Al cinema si poteva mangiare, fumare, chiacchierare, correre, condividere, soprattutto sognare in grande. «La strada che andava da via Gemito al cinema mi è sempre sembrata lunghissima e inessenziale. In realtà erano quattro passi, la conoscevo a memoria. Affrettavo il passo, mi tiravo dietro i fratelli. Nostra nonna gridava: venite qua, non scendete il marciapiede che finite sotto le macchine. Mi fermavo. L’ultima cosa che volevo era essere investito da un’automobile prima di vedere il film».
Va poi seguendo la parabola dell’intero paese, la vicenda individuale del protagonista, che ritroviamo adulto, e scrittore di sceneggiature nella seconda parte del libro. L’Italia non è più la stessa, e neanche il cinema, sia a livello pratico (cambia il modo di fruirlo) sia a livello contenutistico e formale. Scomparsa la magia degli anni di Totò e Anna Magnani, instaurato per forza di cose un rapporto imprescindibile con la televisione, il protagonista racconta e svela i compromessi, le frustrazioni, la rabbia e i piccoli riscatti, insomma il percorso accidentato che deve compiere per portare a termine un ambizioso progetto cinematografico che si trasforma in un prodotto piatto e scontato, deprivato del suo contenuto sociale e sostanziale. Uno spaccato di com’è il cinema oggi in Italia, di come forse non vorrebbe essere: specchio di un paese che sogna in piccolo (schermo) e che ha perso quello sguardo magico che l’aveva reso grande. Attraverso le parole disilluse ma non ciniche di un uomo che sa cosa vuol dire “fare scene”.
L’autore
Domenico Starnone (Saviano, 1943), scrittore e giornalista italiano, ha vinto il Premio Strega nel 2001 con Via Gemito (Feltrinelli, 2000). Ha lavorato anche come sceneggiatore: ispirati a suoi libri sono [ì/italic]La scuola di Daniele Luchetti, Denti di Gabriele Salvatores e Auguri professore di Riccardo Milani. Fare scene è il suo ultimo libro.
A cura di Antiniska Pozzi
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