Profondo blu
Dobbiamo dirla tutta: dopo la visione di Una notte blu cobalto è difficile uscire dalla sala senza provare un minimo senso di leggerezza, anche, se sul momento, non capiamo se si tratta solo di un piacevole smarrimento onirico, un po’ come quello raccontato dal film. Sta di fatto che, disorientati quanto basta, riusciamo anche a perdonare i vistosi limiti dell’esordio cinematografico di Daniele Gangemi, che pure con questa pellicola nell’ultimo Worldfest International Independent Film Festival di Houston si è portato a casa il premio come miglior opera prima. Dunque, ancora un po’ sognanti, riusciamo a sorvolare su un plot che decolla a metà, su un’ingombrante colonna sonora (firmata Negramaro) e (quello in realtà ci riesce un po’ difficile) sulla pessima prova degli attori protagonisti, che ancora sembrano non essersi ancora liberati dei loro fantasmi passati. Da una parte un Corrado Fortuna che fa il verso al Tanino di Virzì e dall’altra Regina Orioli, volutamente (ancora) un po’ “femme fatale” che di “fatale” però sembra avere solo la sua pessima interpretazione. Una maturazione mancata di due attori che si ritrovano incollati con troppo facilità su una storia troppo sfaccettata per risolverla con i cliché del bello e sfigato e della libertina un po’ insicura di sé.
Ma, dicevamo, molte altre cose si salvano. Si salva lo stile di Gangemi, sperimentale ma asciutto, si salva (come non poteva farlo) un Alessandro Haber che comunica con le massime di Sun Tzu. E si salva soprattutto la potente fotografia di Michele D’Attanasio che ci fa scoprire lo straordinario fascino di una Catania notturna come nessuno mai l’aveva vista prima. Quando poi la misteriosa polverina tanto bramata dagli amanti della pizza Blu Cobalto ci interroga sul peso dei nostri desideri, riusciamo ad apprezzare anche l’elegante e ironica narrazione di un percorso interiore che non può non toccarci da vicino, reso tangibile proprio dalla quotidiana cornice dentro la quale prende vita. Ecco che con un crescendo di surrealismo sfioreremo perfino un immaginario metafisico fin troppo sbrigativo: ci solleverà e capiremo che è giusto così.
In fondo questo è Una notte blu cobalto: un film imperfetto e forse incompiuto, nella sua ingenua voglia di raccontare in modo innovativo una storia semplice e comunissima, senza alcune pretese se non quella di alzare la posta in gioco. Alzi la mano chi lo ritenga un peccato. Sorrida chi pensa che il cinema italiano è (debba) essere anche questo. Una volta tanto.
Curiosità
Il film di Gangemi è riuscito a trovare una distribuzione solo dopo ben due anni di limbo, nonostante il premio del Worldfest di Huston
A cura di Daniele Lombardi
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