Morto un Enigmista se ne fa un altro
Personalmente consiglierei la visione di questo sesto episodio della saga di Saw (previo naturalmente il recupero di tutti e cinque i capitoli precedenti) a tutti coloro che sono rimasti perplessi o peggio delusi per il finale ambiguo e sospeso di Lost. Volete che i conti tornino? Ci tenete a seguire una trama nella quale ogni elemento venga successivamente ripreso e spiegato? Questa pellicola fa per voi. Gli sceneggiatori si sono presi così a cuore la continuità di tutti i rimandi tra i diversi film della serie, che ormai i tre quarti della proiezione consistono in una sequenza di flash-back solo di rado interrotta da qualche nuovo elemento, che comunque finirà per essere ripreso in un episodio successivo e così via, in un circolo vizioso che a breve ci porterà a un Saw fatto interamente di spezzoni di repertorio (un po’ come quelle puntate di fine stagione delle sitcom americane) montato probabilmente da Enrico Ghezzi (da qui a Blob il passo è più breve di quello che possiate pensare).
Scherzi a parte, non è che ci sia molto da dire sull’opera in sé. La formula è sempre la stessa, e non è invecchiata troppo bene a livello creativo. Per quanto a Saw vada sempre e comunque riconosciuto il merito di aver aperto una via interessante all’horror degli ultimi anni, riuscendo al contempo a tirar su barcate di denari al botteghino, non si può non vedere come la stoffa che i vari registi della serie si passano di mano si sia ormai logorata. Il copione, gira gira, è sempre quello. Le torture, per chi si è fatto un po’ l’occhio, cominciano tutte ad assomigliarsi. Quel che è peggio, il carisma dei protagonisti pare evaporato. Tobin Bell, il cui personaggio è morto alla terza tappa del cammino, non può essere convincente come lo era quando dirigeva i giochi in prima persona. Amanda, con tutte le sue turbe, se n’è andata pure lei. E il detective Hoffman – senza offesa – è uno dei villain più tristi che si siano visti da quando il cinema è a colori.
Resta l’adrenalina, certo. Perché, per quanto prevedibili, certi meccanismi ultrasadici alzano sempre e comunque il ritmo cardiaco dello spettatore. E c’è anche un filo di ironia che negli episodi precedenti rimaneva decisamente più sotto traccia. La scelta di usare come cavia principale per i consueti esperimenti di “etica del massacro” un dirigente delle assicurazioni mediche, da questo punto di vista, si rivela felice soprattutto perché riesce a riportare in luce l’aspetto “morale” del killer che negli ultimi film sembrava essere stato sostituito da una vena più vendicativa che non filosofeggiante. Tutti questi elementi riescono forse a portare Saw VI un gradino sopra a Saw IV e Saw V (quest’ultimo veramente in guardabile), ma da qui a farne una buona visione ce ne corre. Se lo vedranno gli appassionati, e forse non resteranno nemmeno troppo delusi, viste le precedenti esperienze. A tutti gli altri, invece, riesce difficile consigliarlo.
A cura di Marco Valsecchi
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