Schegge da Cannes
Gekko a Wall Street
L’avidità è giusta. Così recitava Gordon Gekko nel 1987 in Wall Street, uno dei massimi lavori della coppia Oliver Stone – Michael Douglas (Oscar come miglior attore per questo ruolo) sul sistema e il potere finanziario. Dopo 23 anni i due tornano a lavorare per il sequel (il primo di Stone), Wall Street – Il denaro non dorme mai, presentato oggi a Cannes fuori concorso. Reduce da 8 anni di prigione per riciclaggio di denaro, Gekko sembra uscire diverso, ma è solo apparenza, perché in realtà lo squalo non è mai morto, deve solo attendere di risorgere. Ma nel frattempo il giro dei grandi lo ha estromesso (non dimenticato), e la figlia (interpretata da Carey Mulligan) è fidanzata (guarda il destino…) con un giovane agente di borsa in ascesa, ma molto idealista (Shia LaBeouf). Il film ci porta temporalmente sette anni dopo la scarcerazione, dove troviamo un Gekko scrittore, che con un manuale (Greed is Good) tenta di riconquistare il suo pubblico (anche quello delle nuove generazioni). La voglia di tornare, nonostante la crisi globale, c’è (e avviene), ma alla fine sarà più il desiderio di riavvicinarsi alla figlia a prevalere. Banale sarebbe pensare di ripetersi, ma da Stone (almeno su un argomento così attuale come la crisi finanziaria) ci aspettavamo di più sinceramente. Il Gekko che dispensa meno perle e appare eccessivamente buonista piace meno rispetto al cinico e lucido squalo di Wall Street di un tempo. Nella realtà di oggi (soprattutto quella di Wall Street) a volte non sono permessi troppi sentimentalismi.
Da World Trade Center a W., (escludendo i documentari, che rimangono straordinari), anche per Stone c’è stata una flessione. Manca la cattiveria e la polemica narrativa di un tempo. Anche se in conferenza ne ha per tutti. “Se mi guardo intorno, e penso a quello che sta succedendo in paesi come la Grecia o l’Inghilterra, chiaramente mi rendo conto che la situazione è molto peggiorata rispetto al primo Wall Street. C’è troppa differenza tra chi ha i soldi e chi no, tra chi può e chi non può. Il sistema andrebbe corretto, senza guerra, partendo proprio dagli Stati Uniti. Penso che ritornare a parlare di questo tema sia stato però positivo.” Niente da dire invece su Michael Douglas, sempre accattivante in questo ruolo, anche se meno memorabile, ma che supera largamente un Shia LaBeouf, inespressivo e ben lontano dal Bud – Charlie Sheen fine anni Ottanta (che comunque appare per qualche minuto). “Riprendere il ruolo di Gordon Gekko – dice Michael Douglas – è stato fantastico. Con questo film ho vinto l’Oscar, ma sono anche cresciuto artisticamente, e questa nuova sfida, soprattutto dopo quello che è successo nel mercato globale, mi ha dato nuovamente modo di riflettere di più.”
“Con questo film – conclude Stone – volevo parlare anche soprattutto di una famiglia, di individui. È grazie ai singoli che secondo me possiamo comprendere il malessere della massa.” Molto è cambiato (anche in peggio), non la musica finale dei Talking Heads che ci accompagna fuori.
A cura di Andrea Giordano
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