Robert, pensaci tu
Lo spettatore medio che cosa chiede a un film di supereroi? Facile: chiede spettacolarità, ritmo, azione, qualche battuta divertente e almeno un paio di combattimenti epici. Il che va anche bene, ci mancherebbe. Il problema è un altro. Il problema è che cosa lo spettatore medio non chiede a un film di supereroi. Purtroppo, non gli chiede di essere un buon film in senso assoluto. Per questo motivo, il primo Iron Man ottenne apprezzamenti quasi unanimi: gli elementi base c’erano tutti e in più lo spettacolo stava in piedi bene, senza troppe storture. Peccato che lo stesso non si possa dire di questo sequel, decisamente al di sotto delle aspettative.
Le pecche più gravi, come prevedibile, vengono dalla sceneggiatura, sfilacciata e piena di buchi. Viene quasi da immaginarsi che gli autori, dopo aver partorito l’ennesima scena debole, si siano guardati in faccia e abbiano deciso di non dannarsi troppo l’anima: “In fondo è un film di supereroi, la gente non starà a farsi troppe domande”. I personaggi, poi, paiono tutti abbozzati in modo approssimativo. Agli attori, d’altra parte, non vengono lasciati grossi margini di lavoro. A Gwynet Paltrow tocca una Pepper Potts inserita nella trama più con funzioni di soprammobile che di protagonista, mentre Scarlett Johansson e Sam Rockwell oscillano tra lo stereotipo e la macchietta. Qualcosa di meglio riesce a farlo Mickey Rourke nel ruolo del villain, ma anche chi si è fatto stregare dalla retorica del “grande ritorno” dopo The Wrestler non potrà non ammettere che il Marv interpretato in Sin City (tre anni prima del film di Aronofsky) era ben più interessante e meglio congegnato. Alla fine ricade tutto sulle spalle di Robert Downey Jr., che in qualche modo riesce anche a tenere in piedi la baracca facendo ricorso a tutto il proprio fascino da istrione (che fortunatamente è davvero tanto).
Se questi erano però gli elementi che si sapeva avrebbero lasciato a desiderare, stupisce in negativo la mediocrità della pellicola anche negli aspetti più direttamente legati al genere supereroistico. Il pathos, infatti, non è mai alto e di rado ci si trova a bocca aperta. Soprattutto il climax finale, con le classiche scene d’inseguimento, il combattimento di gruppo e ilredde rationem col cattivo di turno, lascia piuttosto perplessi. Pare tutto troppo facile, poco sofferto, ai limiti dello svogliato. I nemici cadono uno a uno senza grossi problemi, e perfino l’antagonista viene liquidato in un tempo relativamente breve, senza particolari trovate e quasi con sufficienza. In quanto spettatori, anche cercando di stare al gioco e tenendo basse le aspettative, si finisce per sentirsi poco coccolati.
A cura di Marco Valsecchi
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