L’Italia è una immensa provincia
Mine vaganti. Il titolo dell’ultimo film di Ozpetek fa pensare a un pericolo costante, perennemente in agguato. Una minaccia che incombe e dalla quale è difficile liberarsi, perché imprevedibile, perché dovunque. La famiglia di Tommaso Cantone, figlio di un importante imprenditore salentino, può vantare una lunga tradizione di mine vaganti: tale è stata la nonna, che ha amato segretamente il cognato per tutta la vita; tale è stata zia Luciana, fuggita di casa in gioventù per inseguire a Londra un amore che non era tale. Due mine vaganti sono, infine, Antonio e Tommaso Cantone, entrambi omosessuali in incognita in una Lecce che non vede l’ora di affondare i suoi denti nelle carni tenere del pettegolezzo e della critica feroce.
In un contesto sociale che puzza ancora di provincia e di provincialismo, l’errore più grande non è avere degli scheletri nell’armadio, bensì che questo si sappia in giro, perché lavare in pubblico i propri panni sporchi significa sottoporsi al chiacchiericcio e all’altrui ludibrio. Che cosa dirà la gente? E’ una domanda che pesa quasi come una sentenza di morte, di morte sociale: per evitarla, la vita viene plasmata, viene truccata dalla paura, che diventa come una maschera senza la quale non si può mostrare il proprio viso. Una maschera che rende il volto accettabile agli altri ma che impedisce di seguire i propri sogni e le proprie passioni, perché la Paura è il contrario dell’Amore. Proprio per queste ragioni, Tommaso va via dalla sua famiglia, dalla sua città, e nasconde a entrambe il suo desiderio di diventare uno scrittore, il fatto che si sia laureato in lettere e non in economia e commercio, i suoi sentimenti per un uomo. Anche lui, però, fuggendo, dimostra di avere paura e la stessa decisione di fare outing, proprio durante la serata che dovrebbe segnare il suo ingresso nell’azienda di famiglia, in realtà non è che un modo vigliacco per giustificare la sua fuga, il suo nascondersi. Al contrario, il gesto di Antonio, che lo precede nel rivelare una verità troppo a lungo celata, è davvero un atto di puro coraggio, perché compiuto da un uomo che, a differenza di Tommaso, in quell’ambiente reso opprimente e irrespirabile dal tanfo del falso perbenismo ci è vissuto sin dalla nascita, senza mai spostarsi, chinando passivamente la testa alle sue regole, respirandone l’aria irrespirabile. Un personaggio, quello di Antonio, quasi pirandelliano, nel suo non poter più sopportare la maschera indossata per anni e anni. Nel momento in cui fa outing è come se di questa maschera si spogliasse e la gettasse via, perché una volta che si è preso atto dell’estranietà della vita che si conduce non si può continuare a indossare un sorriso falso sul volto. Il punto di rottura, proprio come in una novella pirandelliana, si tocca, dunque, non quando la falsità è svelata, bensì quando si ammette che con essa non si può più convivere. La nonna di Tommaso ha accettato la falsità del suo amore per il marito; sua figlia, invece, ha accettato i tradimenti del suo e solo così sono potute rimanere al loro posto. Chi, al contrario, questa falsità non l’accetta, è costretto a scappare, come Tommaso; a trovare rifugio nell’alcool, come zia Luciana; oppure a rinnegare tutta la sua vita precedente, come fa Antonio.
La falsità consapevole, dunque, è ciò che domina i rapporti umani in questa città meridionale, dove tutti sanno e dove tutti fingono spudoratamente di non sapere, giocando con il detto/non detto, con le allusioni, che vengono viste dappertutto. Si pensi ad una delle scene più significative del film, quella in cui Tommaso e suo padre siedono in un bar e le voci degli altri clienti, dei passanti, diventano un mormorio assordante, il mormorio della derisione, il mormorio della critica. “Lo sanno tutti” dice il padre piangendo e le lacrime non sono per il figlio andato chissà dove, ma per la rispettabilità perduta. Non si cerchi in Mine vaganti, però, la denuncia sociale o la disamina della condizione omosessuale in Italia. Il film di Ozpetek è, innanzitutto, una gradevolissima e divertente commedia, dal sottofondo lievemente malinconico (anche se priva di quella malinconia struggente tipica dei suoi film precedenti), che mostra in un modo, si potrebbe dire, scanzonato, problematiche ben più complesse. Il regista italo turco non schiaffeggia: al massimo dà un bonario scalpellotto a questa Italia ridicola, che ancora si scandalizza sentendo parlare di omosessualità; una Italia che sembra fatta solo di province, che sembra dominata dalla realtà provinciale e che trova proprio nel provincialismo un modo per difendersi, per illudersi che tutto cambia per non cambiare nulla, come scriveva Tomasi Di Lampedusa. Ma, appunto, questa non è altro che una illusione a cui questo paese rimane ancora tenacemente aggrappato.
Curiosità
Il film è stato realizzato con il contributo dell’Apulia Film Commission, una delle più attive Film Commission a livello nazionale, grazie alla quale la Puglia sta diventando set di numerosi film e fiction televisive, sia italiane che estere.
A cura di Saba Ercole
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