La pornografia della violenza e della morte
Guardando Afterschool è impossibile non fare paragoni con il film Elephant di Gus Van Sant. L’ambientazione è la stessa, ovvero un prestigioso college degli Stati Uniti, brulicante di studenti ma al tempo stesso immensamente vuoto, un vuoto degli spazi che è esatto corrispettivo del vuoto interiore di coloro che quegli spazi li vivono. I protagonisti sono, anche in questo caso, studenti, ragazzi di buona famiglia che tanto buoni non sono, malgrado quello che gli adulti si ostinano a credere. I due film, infine, sono accomunati sia da scelte a carattere stilistico (la storia non è narrata, bensì mostrata con modalità quasi documentaristiche, senza che apparentemente si noti la presenza del regista) sia dall’evento cardine attorno a cui ruotano personaggi e situazioni, ovvero la morte violenta e inspiegabile di giovani vite. Siano queste vite spezzate a causa dei colpi sparati da loro coetanei e colleghi, come accade in Elephant, siano spezzate a causa della droga loro venduta da altri ragazzi, come avviene in Afterschool, ciò che è certo è che queste morti risultano essere incomprensibili sempre e solo agli occhi degli adulti, che non sanno, non capiscono e preferiscono non prender atto di quanto orribili siano i loro “bravi” ragazzi.
Proprio di orrore e di violenza il giovane Robert si nutre quotidianamente, guardando i filmati postati su internet: massacri di guerra, l’impiccagione di Saddam Hussein ma anche ragazzi che si picchiano e che per denaro accettano di mercificare il loro corpo. Tutto il film di Campos è fondato su questo alternarsi di filmati amatoriali (quelli guardati da Robert, quelli da lui girati) e le riprese vere e proprie, dominate da lunghi piani sequenza che fanno il paio con lo sguardo inespressivo e apatico del suo giovane protagonista. Tale alternanza mette particolarmente in risalto il contrasto tra le immagini che mostrano la vita di Robert nel campus, di un purismo quasi patinato in alcune inquadrature, e le immagini dei filmati amatoriali, sporche, violente e sgradevoli; una violenza che è sempre lì pronta a rivelarsi all’improvviso e a trasformare il nostro sguardo di spettatori in quello, morboso e ossessivo, di maniaci. “Se c’è un incidente o una rissa, il nostro primo istinto è quello di registrarlo con la videocamera del cellulare oppure quello di accorrere e cercare di aiutare?” ha chiesto, in modo volutamente retorico, il regista ad un dei suoi intervistatori durante una conferenza stampa, ed è indubbio che le nuove tecnologie ci abbiano reso, da un lato, presunti “cacciatori di verità”, mentre dall’altro suscitano per questa “verità” una curiosità oscena. Se l’immagine cinematografica, per il suo essere sempre artefatta e perfetta, in quando costruita sin nei minimi dettagli, ci permette di indossare gli stessi panni da perbenisti altoborghesi indossati dai genitori e dagli educatori dei ragazzi di questo college, l’immagine impura e disturbata dei filmati ripresi con la videocamera o il telefonino rivelano tutto il nostro voyerismo indecente, il nostro desiderio di immagini forti che sappiamo esser vere e vogliamo che lo siano. Perché il sangue, se non è vero, non riesce a suscitare in noi alcuna emozione.
Ecco quindi che Robert, abituato a vedere la violenza e la morte postata su internet, riesce a filmare una morte violenta e a tributarle un memoriale che non inganna circa la sua reale natura: una sincerità, la sua, che crea disturbo e deve essere necessariamente mascherata, coperta, artificializzata. Ai ragazzi che ammettono di non sapere nulla delle due studentesse morte vengono sostituite patetiche dichiarazioni di “non vi dimenticheremo mai”; l’immagine dei genitori delle due vittime, distrutti e divisi dal dolore e forse dal desiderio di non sapere la verità, viene tagliata; su tutto fa da sfondo una ninna nanna che, volendo addolcire il pensiero della morte, facilità l’intorpidimento delle coscienze e aiuta a dimenticare la vera causa della scomparsa di queste due ragazze. Il corpo nudo e osceno del dolore e della violenza, che i figli amano tanto guardare, viene dai padri coperto ed ingentilito. Ma, come ben dimostra il finale ad effetto del film, non si può coprire una realtà che ormai viene esperita solo con gli occhi di un voyer armato di videocamera.
A cura di Saba Ercole
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