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Bù! … paura, eh?

Bù! … paura, eh?

Quando una produzione costata appena 15.000 dollari diventa fenomeno di massa i casi sono due: o ci troviamo davanti a un capolavoro denso di sperimentazioni che è riuscito a emergere nonostante un budget amatoriale oppure – al contrario – siamo rimasti vittime di un’astuta strategia di marketing ben condita di bufale e falsi storici che riesce a portare alla ribalta un prodotto mediocre. Inutile dire che per il caso di Paranormal Activity propendiamo per la seconda ipotesi: nel filone del reality-horror-movie (iniziato da The Blair Witch Project e nel quale sono passati, fra gli altri, Cloverfield di quel furbone di Abrams e i due capitoli spagnoli di [Rec]), Paranormal Activity si posiziona come come il clone più deludente e meno innovativo di questo genere, quasi sfiorando il caricaturale.

Tutto il film si muove lungo uno spazio temporale di ventuno giorni (e ventuno notti) ed è ambientato in una casa di una giovane coppia americana che, nella sua fase di emancipazione, si ritrova la propria alcova infestata di attività paranormali. Ovviamente l’occhio che riprende la narrazione, visi volti e le attività suddette è la tanto coccolata handy cam che passa di volta di mano in mano ai due protagonisti. L’idea (non originalissima, ma accettabile) è accompagnata da una struttura narrativa che ben presto vacilla, sia per alcune clamorose forzature nel plot e nel comportamento della coppia (perché ad esempio lasciare sempre aperta la porta della camera da letto?) sia perché l’elemento claustrofobico (ben presente in [Rec] ma anche nel bosco magico di The Blair Witch Project) non convince affatto, anzi appare troppo autoimposto, mai davvero soffocante. Aggiungiamo anche la povertà dei dialoghi e un cast che arranca faticosamente: si capisce subito che il film di Peli, nonostante il tentativo di caratterizzare i personaggi, è destinato a sfociare in un noioso tormentone di piani sequenza nella camera da letto dei giovani amanti, mentre di volta in volta alza furbescamente il livello di “attività” demoniache. Il giochetto alla lunga annoia e già dopo mezz’ora ogni scena sa di un “già visto” quasi irritante.

C’è forse un tentativo, solo abbozzato, che cerca di segnare una discontinuità rispetto a deja-vu precedenti come quello della strega di Blair. Paranormal Activity cerca infatti di materializzare la paura nella sua stessa volontà voyeuristica di vederla, di consumarla, di metterla al centro di un grande fratello cinematografico. Mentre in The Blair Witch Project la strega maligna agiva nei “tempi morti” delle riprese, come presenza onnipresente ma invisibile, in Paranormal Activity il demone è un’entità provocante ed esibizionista, che asseconda le voglie del giovane fidanzato ossessionato di riprendere le “attività paranormali” perché tutto ciò “sarebbe molto figo”. Il demone di Paranormal Activity insomma sta al gioco, si compiace di essere il protagonista indiscusso della storia, pretendendo i suoi “15 minuti di notorietà” e accettando la sfida di “farsi vedere”. Il pubblico a sua volta è spaventato, ma nello stesso tempo è obbligato ad alimentare la sua paura, riflettendosi nell’approccio stesso di chi tiene in mano la telecamera nella casa infestata. Sarà così che alla fine il demone diventerà proprio chi alimenta morbosamente la paura, cioè la telecamera stessa, la società voyeuristica e via dicendo. Tutto questo aspetto appare però solo un diversivo compiaciuto per coinvolgere (sconvolgere) lo spettatore, piuttosto che un filo conduttore che riesca ad inserire una chiave sociologica all’intera narrazione (come invece riusciva a fare [Rec]). Non finisce qui: dopo un confuso tentativo di riallacciare alcuni nodi insoluti nella trama, il finale di Paranormal Activity sfocia in una presa in giro memorabile (si tratta in ogni caso di un finale imposto dalla distribuzione americana, il director’s cut è in realtà diverso). Probabilmente è in quel momento che allo spettatore ritorna in mente il costo del biglietto (ma è troppo tardi ormai).

Detto questo, a chi infine ci pone la semplice domanda: “ma paura, la fa?”, possiamo rispondere che il meccanismo per far sobbalzare il pubblico è lo stesso usato in alcuni video in rete (quelli che chiedono di concentrarsi su un elemento apparentemente banale per poi far saltare fuori improvvisamente un “bù!” o ciò che dovrebbe davvero spaventare). La differenza è che attraverso l’uso di Dolby Surround e di megaschermi la cosa forse riesce meglio. Ma fidatevi, niente di più.

Curiosità
Sembra che pure Steven Spielberg (colui che ha spinto la distribuzione del film nelle sale) sia rimasto letteralmente terrorizzato dalla visione del DVD di Paranormal Activity, complice anche la porta della sua camera da letto che dopo il film non ha voluto più aprirsi, costringendo Spielberg a rimanere bloccato nella stanza e a chiamare i soccorsi.

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