Il sottilissimo fascino del disgusto
Sasha Baron Cohen è sincero, ma non sempre la sincerità è piacevole. Per il comico dal trasformismo istrionico, politicamente scorretto fino all’oltraggio, toccare, anzi a palpare con mano il disgusto è imperativo categorico a cui, da Borat fino all’attuale Bruno non è mai venuto meno. Il mockumentary in questione, che va a sbeffeggiare tutto e tutti, è sì estremo e decisamente sopra le righe, ma non per questo è lecito gridare al genio.
Dal vacuo e paiettato mondo della moda con le sue modelle decerebrate e i suoi stilisti isterici, alle star che si lanciano in campagne di beneficenza per farsi pubblicità, Bruno mostra tutte le bassezze dello showbiz, lasciando all’immaginazione solo il segno della croce. Se cercate un film delicato, di buon gusto e dalla sottile ironia, girate alla larga da questo prodotto che polemizza in modo certamente originale ma con poca finezza, a usar eufemismi. Da questo prodotto sui generis, consigliabile solo agli stomaci forti, attraverso l’ostentazione di volgarità senza mezze misure, Sasha Baron Cohen affonda il dito nella piaga sempre aperta delle bassezze della società patinata e priva di contenuti. Lo fa vestendo i panni succinti e improbabili di un gay oltre ogni pretesa di realismo. La figura di Bruno, che aspira a diventare la più grande star austriaca dopo Hitler, andando a cercar fortuna a Los Angeles ci ricorda un Derek Zoolander sotto psicoanalettici, con la mano ancor più calcata e la mancanza di tutto quel bagaglio di espressività mimica e gusto geniale che contraddistinguono le interpretazioni di Ben Stiller.
Se lo scopo ultimo di un’opera, qualora non sia l’estetica fine a se stessa, è sovente quello di tracciare un segno, un’impronta più o meno etica nell’immaginario collettivo del pubblico, il grande punto debole di Bruno risiede proprio nell’assenza di un fine e di uno scopo netti e chiaramente individuabili. Se la polemica e la fustigazione del mal costume è la sua mira, fallisce in larga misura. Se è il mero divertimento si può dire altrettanto. Un’opera come Bruno è destinata, infatti, a causa della spiacevolezza dei sapori che porta, all’archivio, ad esser vista da pochi, e da quei pochi essere poi accantonata. Il fastidio, in sostanza, supera la risata.
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