Dramma nel cabaret dei futuristi n.13
… il signor Smechač rideva ridellescamente, sempre più grasso, sempre più gonfio, sempre più tronfio, sempre più mongolfiera, rotolando in cerchi a scacchiera, circonferenze metalliche, ruote di ingranaggi sbilenchi dai denti consumati, molari a molare se stessi senza tregua, bruxismo di milioni di molari nella notte acida di Bruxelles, cavoli amari, bocca cariata urlante KINOOO, kinematografija, cinemaAAA, ingrandimento progressivo, proiezione geometrica, spelonca che tutto ingoia, vuoto cosmico dove l’uomo-mongolfiera è risucchiato in vortici di lavandino…
La pianti?, disse lei scrollandogli la spalla. Lui spalancò gli occhi nella luce malata dell’abat-jour e rantolò affiorando da un’apnea subconscia. Un clic scocciato sprofondò la stanza nel buio. Fari nella notte filtrarono dalla tapparella dissestata e tracciarono un ventaglio di strisce che ripiegò su se stesso inseguendo il ruggito di un motore lontano. Lui allungò una mano sotto il lenzuolo e la posò timida sulla morbide e calde rotondità di lei, che lo scacciò girandosi dall’altra parte. Allora si alzò, rincorse le pantofole smarrite nell’oscurità e con andatura alcoolica tentò di raggiungere la cucina sbandando invece dritto al cesso, dove crollò sul sedile del water, faccia a faccia con il suo ritratto sonnolento stampato nello specchio in un alone di luce soporifera.
Tutto era cominciato quando il signor Smechač si era presentato al D.D. (Dipartimento Derive), respinto da uno sportello all’altro finchè era rimbalzato al Gabinetto 13, il suo, e lui s’era dovuto sorbire il sarcasmo dei colleghi infingardi e la chiacchiera pantagruelica di quell’individuo a scacchi, farfallino a pois, occhiali rotondi, paglietta da gondoliere, risata frequente e immotivata. La parlantina inesausta diventò tuttavia interessante alla parola magica: milione.
- Ho già recuperato quasi tutti i film dei futuristi, da Aelita alle pellicole del FEKS, da Le avventure di Oktobrina fino ai film girati da Majakovskij. Mi manca soltanto quell’antica rarità, il Dramma nel cabaret dei futuristi n.13. Ah, la scena del tango, solo letteratura finora, Larionov e la Gončaròva che danzano con grinta da apaches, come scrisse l’esegeta, e Burljúk che …
Lui intanto era già partito per la tangente, la parola tango gli aveva innescato un grammofono di fantasia la cui puntina spremeva in modo straziante la voce in bianco e nero di Gardel che gracidava Por una cabeza, impressionato non tanto dallo spettro della sanzione per il suo interesse privato in atti rigorosamente pubblici, quali dovevano essere le burocratiche, lenterrime ma inconcludenti, benché conformi, ricerche ministeriali del D.D., quanto dal fatto che lei non gli avrebbe più rimproverato di essere un morto di fame, esagerazione tutta mogliesca, nonché suoceresca, di una condizione povera ma decorosamente impiegatesca, concedendogli infine quel calore e quel sorriso di femmina per i quali lui l’aveva corteggiata, amata, sposata, sopportata, vezzeggiata, subita…
Per far drizzare le orecchie a quello svagato mezzemaniche e fargli fiutare la pista il signor Smechač sganciò sulla scrivania una mazzetta non trascurabile che lui fece sparire subito nel cassetto, sudando agostanamente, benché fosse gennaio e il riscaldamento spilorciamente lesinato.
A casa la moglie gli disse che era un cretino a mettersi nei guai per una panzana così madornale. Lui era convinto che lei l’avrebbe accusato di essere un cacasotto se invece avesse rifiutato la succulenta offerta del signor Smechač. Doveva imparare ad essere più evasivo con il suo tesoruccio, così la chiamava, e forse un tempo lo era stata. Talmente evasivo da non confidarle che si era fatto trasferire dall’U.I. (Ufficio Interpellanze) del D.D. prima al C.d P: (Crepuscolo delle Pratiche) e poi all’S.P. (Sedimenti Pleistocenici), scadendo così di ben tre categorie retributive, seppellendosi in locali dove erano accumulati milioni di reperti dimenticati. Da non confidarle che un vecchio forzato dei Sedimenti gli aveva mostrato il passaggio segreto e murato che conduceva ai sotterranei del Budino, l’antico palazzo dove un secolo prima il Dittatore detto il Feroce aveva ammassato tesori di carta e di celluloide vigilati da anatemi. Da non confidarle poi che s’era fatto licenziare dal D.D. per essere assunto da un’impresa di espurgo pozzi neri, e che finalmente, dopo aver sguazzato nelle fogne per mesi e scandagliato le catacombe cernendo antichi dagherrotipi, nastri infiniti di celluloide e montagne di pizze arrugginite, l’aveva trovato, quel fottuto Dramma nel cabaret dei futuristi n.13, alla faccia di tutta la storiografia che lo dava definitivamente perduto. Ma avrebbe dovuto vedere la sua faccia, come la vedeva ora nello specchio del bagno, quando scoprì che i soldi della mazzetta erano falsi e che il signor Smechač era in realtà un performer sedicente situazionista a caccia di grulli. Chi aveva ora il coraggio di confessare a lei che non aveva più un lavoro pulito, non più dignità burocratica, non più stipendio di un certo tenore, e che gli rimaneva solo una pizza cinematografica vecchia di un secolo e incomprensibile, una vera cagata, a dirla proprio come il Ragioniere del Villaggio? Il Ministro dell’Immagine in Persona, perché di solito, nei casi meno eclatanti, si presentava in Ologramma, lo accusava di appropriazione indebita di beni culturali, sua moglie lo sputtanava al mondo intero urlando che proprio a lei doveva toccare in sorte un simile cretino, la suocera era scatenata in un tango depravato con il signor Smechač, le guance dipinte come gli [img4]attori di quei venti minuti di delirio futurista in celluloide.
Che incubo! esclamò rabbrividendo, la testa crollata sulla cabina della doccia e un filo di bava che colava sulla plastica salvaschizzi. Ti vuoi sbrigare? Sei là dentro da ore! gridava l’inviperita di sua moglie. Nel lento riprendersi constatò a poco a poco, con un sollievo e un piacere quasi carnali, che tutto era tornato al proprio posto. A casa come in ufficio si rallegrò, incompreso, dell’abituale rassicurante squallore. Sennonché al Gabinetto 13 quella mattina lo aspettava un occhialuto ficcanaso del D.K. (Dipartimento Kino) U.R. (Ufficio Ricerche) G? (Gabinetto Interrogativo).
- Che mi dice del primo film dadaista girato a Zurigo nel 1916, Complotto al cabaret Voltaire?
Lui allungò la mano nel cassetto della scrivania ed afferrò il tagliacarte della conforme dotazione ministeriale come fosse un pugnale degli arditi. Si sa mai con questi cinefili.
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ponti ::