Punti di vista agghiaccianti
Thriller psicologico dai toni crepuscolari, Anamorph è un film che chiama in causa lo spettatore in un gioco regolato dal meccanismo della camera oscura, per cui la verità rappresentata capovolge quella di partenza. Il tutto, senza mai negare un’acuta sensazione di inquietudine e claustrofobia, persino nel catartico epilogo.
La pellicola, che scorre lenta e riflessiva, combina la classica detective story con un plot orizzontale di evoluzione del protagonista. Da una parte assistiamo, quindi, all’indagine poliziesca sullo spietato ed enigmatico serial killer, confidenzialmente ribattezzato “Zio Eddie”, che fa del suo “mestiere” un’arte, nel senso traslato e concreto della parola. Dall’altra parte partecipiamo invece, al viaggio personale, tutto interiore, dell’ “eroe”, Stan Aubray, un investigatore in crisi, tormentato da un tragico evento del passato, un ghost (su cui si insiste con ripetuti flashback), che lo accompagna per tutta la durata della storia.
Fin dall’incipit del film è inoltre evidente il tradizionale motivo di sfida, che regola i rapporti tra inseguito e inseguitore. Le vite di Aubray e Zio Eddie scorrono su binari paralleli (uno è la legge, l’altro il crimine), eppure speculari:in entrambe scorgiamo, infatti, quella follia – data dalla smania di dare un senso alle cose (vedi la disposizione della spesa alla cassa per Aubray o la lugubremente spettacolare scenografia degli omicidi per l’assassino) – tipica di persone a loro modo eccezionali e quindi sole, non solo nell’espletamento della loro professione, ma anche nella loro vita quotidiana. Non è un caso che li leghi la passione per il colore azzurro del lapislazzuli, ripreso nella fotografia che vira, nelle scene più buie, ai toni del blu e del verde. E non è un caso che entrambe le storie trovino la loro ragione d’essere in un’ossessione, per cui il poliziotto diventa il “mecenate” dell’assassino, la sua ossessione e fonte d’ispirazione, mentre la ricerca del killer diventa, a sua volta, per il detective la via di risoluzione di un ossessivo senso di colpa, quindi l’unica possibile via verso l’espiazione.
L’analisi della scena del crimine non lascia tasselli scoperti: la scenografica disposizione dei cadaveri acquista infatti significato con l’incedere del film, rivelando il suo debito estrinseco alla tecnica artistica dell’anamorfosi, un artificio pittorico di origine rinascimentale con cui l’artista nascondeva, all’interno di un’immagine, una figura che poteva essere percepita solo osservando la composizione da un’altra prospettiva. Fuor di metafora, gli omicidi pongono un dilemma: qual è la verità? Aubray è colpevole dell’uccisione di una prostituta per mano del serial killer oppure, secondo la versione ufficiale, è meritevole di una promozione per la risoluzione del caso di omicidi in serie più mediaticamente discusso? Il killer sta acuendo la crisi dell’investigatore o lo sta aiutando a superarla? È perciò sul piano allegorico che gli omicidi acquistano senso, diventando stadi di una progressiva presa di coscienza del protagonista, costretto a fare i conti con il proprio passato.
«Forse non sapremo mai perché [Zio Eddie] ha agito in questo modo, forse non lo sa nemmeno lui», dice Aubray durante una sua lezione. In fondo la spiegazione varia in relazione alla nostra prospettiva sui fatti.
Curiosità
Willem Dafoe e Scott Speedman hanno recitato insieme in xXx²: The Next Level (L. Tamahori, 2005).
A cura di Valentina Vantellini
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