Il Terminator dell’era Obama
«Io e te siamo in guerra fin da quando ancora non esistevamo»: questa frase simboleggia tutto il film. Da un lato rientra in un campionario di dialoghi pomposi e stentorei, segno di seriosità ai limiti dell’idiozia, in un film pompato di effetti speciali, concepito come puro intrattenimento visivo e ostentazione di altissimi budget. Dall’altro lato rende l’idea di una storia fantascientifica classica, a incastro, incentrata sui paradossi temporali. Possono coesistere questi due aspetti? È l’equilibrio dei primi due capitoli della serie, Terminator (The Terminator, James Cameron, 1984) e Terminator 2 – Il giorno del giudizio (Terminator 2: Judgment Day, James Cameron, 1991), più volte citati e omaggiati, dalla riesumazione digitale di Schwarzenegger, ormai passato a miglior vita politica, al terminator che viene progressivamente “inscheletrito” con acido senza essere ucciso, alle frasi identiche ripetute dagli stessi personaggi. Il regista delle Charlie’s Angels, McG, non ha le capacità di un Cameron e il film non può che annacquare negli effetti speciali, relegando la trama, pur ingarbugliata, a un puro collante tra scene d’azione. È inevitabile che lo spettatore si abbandoni a queste ultime, senza fare lo sforzo di seguire la storia. Così come è inevitabile che solo i pochi appassionati possano capire i riferimenti agli altri film di Terminator. E va anche aggiunto che, all’epoca di Cameron, quegli effetti speciali erano decisamente innovativi, mentre ora sono rientrano in una ordinaria routine. Il poliziotto gelatinoso di Terminator 2 rimane indimenticabile.
Il cinema di fantascienza ha da sempre fornito spunti a sociologi, se non a intellettuali come Susan Sontag, per interpretare la società che in esso si riflette. Analisi di questo tipo sono state fatte sulle invasioni aliene dei B-movies anni Cinquanta, che incarnavano la minaccia sovietica, fin sugli aggressori che si nascondono dentro casa, di film recenti come Panic Room (Id., David Fincher, 2002) o Signs (Id., M. Night Shyamalan, 2002), riflesso della fobia post 11 settembre. Non è un mistero che gli americani, usciti dagli ultimi conflitti, considerino i nemici come una cosa da eliminare piuttosto che degli esseri umani. In questo Terminator Salvation, mostrando una guerra contro delle macchine, offre una facile sponda. Tuttavia John Connor si oppone strenuamente ai suoi superiori affinché non venga bombardata la città nemica, per evitare il massacro dei prigionieri che si trovano lì rinchiusi. Alle esigenze strategiche, il protagonista contrappone argomentazioni umanistiche: «perderemmo la nostra umanità, noi non siamo macchine». E questa motivazione è uno dei tanti moniti contro la disumanizzazione, di cui il film è disseminato. In un’America abituata, in guerra, a lanciare bombe senza preoccuparsi delle vittime civili, questo suona come il segnale di un nuovo umanesimo. Sarà il nuovo corso di Obama? In ogni caso Terminator Salvation rimane un film mediocre.
Curiosità
Christian Bale è il settimo attore che interpreta John Connor. In Terminator 2 si vedevano ben tre John Connor, da adulto, da adolescente e da bambino (compare nel sogno della madre). Un quarto John Connor appare in Terminator 3, mentre nella serie tv Terminator: The Sarah Connor Chronicles (2008), ce ne sono due, un adulto e uno giovane che si vede in un flashback.
A cura di Giampiero Raganelli
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