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La verità, vi prego, sul Sudafrica

La verità, vi prego, sul Sudafrica

Fare i conti con le vecchie ferite non è mai facile, soprattutto quando sono così fresche che quasi sanguinano ancora, come accade in Sudafrica. Un paese che rispetto ai “vicini di casa” è toccato in misura minore (anche se non certo insignificante) dalle grandi tragedie dell’Africa, ma che in compenso deve affrontare la sfida di ricostruire la sua identità, dopo anni di contrasti sociali e di oppressione da parte della minoranza bianca. L’idea di John Kani, idea vincente (il film è stato premiato come miglior lungometraggio del suo continente al Festival del Cinema Africano di Milano), è quella di declinare il tema in chiave ironica, ma non scopertamente satirica come aveva fatto ad esempio Yunus Vally con The Glow of White Women. La storia dei conflitti tra etnie, della ricostruzione di un paese che ha cambiato faccia, delle lotte interne ed esterne viene trasportata sul piano personale, in un parallelismo talvolta schematico, ma più spesso efficace e anche toccante: basti pensare alla frase del titolo, “nient’altro che la verità”, che nel film compare due volte, nel contesto pubblico della confessione di un torturatore e in quello privatissimo della personale catarsi del protagonista. Non a caso, del resto, la storia è ambientata nel 2000, ai tempi della contestata concessione dell’amnistia all’ex agente dei servizi segreti Craig Williamson. Il risultato è un lavoro non privo di emozione e di suggestioni drammatiche, ma alleggerito da situazioni e dialoghi decisamente leggeri, tra cui spicca la prima mezz’ora del film che si assesta decisamente sui toni di una black comedy.

Diversi sono i temi su cui riflettere. Da una parte la disillusione di un uomo che, dopo una rivoluzione attesa per decenni e ottenuta a prezzo di gravi perdite, si ritrova ancora di fronte i vecchi scogli della diffidenza e dell’emarginazione, sia pure più sottile; dall’altra l’opposizione tra chi si è lasciato trasportare dagli ideali di lotta e libertà, rischiando la propria vita e quella dei familiari, e chi ha preferito un’esistenza nell’ombra, a suo modo ugualmente coraggiosa. Ma ci sono anche il contrasto tra tradizione e modernità (esemplificata nella figura dell’emancipata e un po’ oca Mandisa), e il dibattito tra i fautori di una “vendetta” totale ai danni degli antichi oppressori e i sostenitori della pacificazione sociale, faticosa ma inevitabile. Un aspetto, quest’ultimo, che dovrebbe ricordare qualcosa anche allo spettatore italiano.

La trama del film è soltanto una metafora di tutto ciò? A tratti sembrerebbe di sì, ma l’operazione è condotta con intelligenza e misura, e lo spettatore finisce per appassionarsi alla tormentata vicenda personale di Sipho e della figlia, per quanto prevedibile soprattutto nella sua soluzione. Questo anche grazie alla buona interpretazione degli attori, in particolare lo stesso John Kani, intelligentemente sfruttata dalla regia con intensi primi piani che costituiscono la principale cifra stilistica dell’opera. Malgrado il montaggio non sempre perfetto, qualche faciloneria e qualche passo stucchevole – specialmente nei flashback del protagonista, francamente evitabili – Nothing But the Truth evita fino all’ultimo il rischio della banalità e quello dell’eccessiva drammatizzazione: il mix è riuscito, e non è poco.

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