L’autolesionismo femminile non ha limiti
L’ultimo film di Ken Kwapis è una commedia rosa in stile L’amore non va in vacanza, ovvero un racconto corale di più coppie alle prese con diversi problemi sentimentali. A differenza di quest’ultimo, la vicenda si sviluppa a partire da una tesi fondamentale: le donne tendono a raccontarsi storie assurde pur di non ammettere che l’uomo che loro desiderano non è realmente interessato. Tale assunto viene esplicitato sin dalle prime scene, che mostrano come in tutto il mondo gli esseri femminili si confortino tra loro ideando alibi poco probabili per gli uomini a cui anelano. Viene così introdotto lo stratagemma del falso documentario sull’incomunicabilità tra i due sessi, supportato da interviste altrettanto fittizie volte a mettere in risalto l’aspetto ironico della questione. Questo espediente narrativo permette di inserire ulteriori aneddoti che dovrebbero incrementare la carica umoristica del film, già dominato dai numerosi intrecci amorosi tra i protagonisti.
Si tratta di un ricco carnet di star hollywoodiane: da habituè della commedia come Jennifer Aniston e Drew Barrymore ad attrici dalla carriera più versatile quali Jennifer Connelly e Scarlett Johansson. Il gran dispendio di nomi noti non riesce a rendere più convicenti i personaggi piatti e mal sviluppati, più simili a macchiette che a raffigurazioni di conflitti interiori. La bionda Johansson è a suo agio nella consueta veste di vamp rovina famiglie che storce le labbra e sbatte le ciglia come una novella Marylin. La Connelly invece è una moglie tormentata che si inventa sensi di colpa per giustificare l’infedeltà del coniuge; Drew Barrymore, che è anche produttrice della pellicola, è la tecnomaniaca fissata con le relazioni via web; la Aniston non si dà pace perché il fidanzato (Affleck) la ama ma non vuole sposarla. Insomma, il cliché della donna incline alle pippe mentali è amplificato all’ennesima potenza in una pellicola a metà tra il mockumentary e il feuilleton cinematografico, in cui l’autismo sentimentale degli esseri di sesso maschile sembra precludere la possibilità di un happy ending. Ovviamente non è così poiché il giusto equilibrio tra ying e yang è raggiungibile attraverso i compromessi e l’esame della propria coscienza. La riflessione tutt’altro che profonda e originale annulla l’efficacia dello spunto iniziale, che già fornì materiale per il manuale omonimo di auto-aiuto a cui il film è ispirato. La psicologia femminile stereotipata baluardo degli autori di Sex and the City (che hanno scritto il libro) viene snocciolata attraverso i vari capitoli: Se lui non ti chiama, Se lui non viene a letto con te, Se lui non ti sposa e via dicendo. Lo stile modulare non attenua la noia di un film che poteva essere raccontato in un’ora e mezza scarsa e che invece si espande prolissamente fin oltre i 120 minuti. A questo si aggiunge il contrasto tra la prima parte dell’opera, più simpatica e briosa, e la seconda, nettamente più statica. Le diverse fasi della vita relazionale vengono affrontate con la medesima leggerezza espositiva che rifugge l’anticonformismo e opta piuttosto per un’atmosfera più buonista meno ricercata rispetto al telefilm di Carrie e co.
L’andamento della trama sembra condurre verso due massime: “In una coppia uno dei due è sempre più innamorato rispetto all’altro” e “La vita prende pieghe imprevedibili”. Niente di veramente illuminante, dunque va scartata l’idea già poco credibile che il film volesse fornire delle risposte a quesiti esistenziali. L’ipotesi più plausibile è che Kwapis, già noto per 4 amiche e un paio di jeans e Licenza di matrimonio, intendesse declinare in ogni possibile sfumatura l’incompresione tra due esseri umani, calcando la mano sugli effetti più paradossali. La difficoltà di gestire la mole di personaggi e storie è unìmpresa per nulla semplice; va invece lodata la volontà di mantenere un tono sobrio e non isterico. Pur essendo un prodotto piacevole alla vista al di là della ridondanza, non si possono perdonare certe incongruenze concettuali: la fede femminile in un rapporto causa-effetto fin troppo stretto manda all’aria il presupposto che le donne ostentano grande creatività nella costruzione delle proprie paranoie sentimentali.
A cura di Claudia Beltrame
in sala ::