Diario dalla Berlinale
10 febbraio
Il primo film in concorso di oggi è London River del regista francese Rachid Bouchareb (per terza volta qui in competizione), apprezzato da molti per agli acclamati Cheb e Indigènes. Siamo nel luglio 2005 e sono appena avvenuti a Londra i terribili attentati che provocarono 52 morti. Una madre, interpretata dalla straordinaria Brenda Blethyn, che vive in campagna, ha una figlia che lavora proprio nella City. La cerca prima al telefono, poi disperata si dirige nella metropoli, ma non la trova. Quello che trova è un vecchio padre di colore, anche lui alla ricerca del figlio, e con lo stesso tragico presentimento. Un film che a livello narrativo non stupisce più di tanto: l’interrazialità, molte volte descritta da Ken Loach, la conoscevamo. Quello che è invece ammiriamo nuovamente, e che sembra invece scuoterci come la prima volta è quello che regala la Blethyn, perfetta in questo ruolo, rovinata dal dolore, ma capace di essere brillantemente ed emotivamente intensa. Il suo ruolo potrebbe essere papabile di premio, insieme alla Kerry Fox di Storm. Staremo a vedere.
Oggi è Londra e gli inglesi a essere protagonisti. Arriva difatti sul tappeto rosso della Berlinale il vecchio leone Stephen Frears con il suo Cheri, tratto da una novella di Colette. In una Belle Epoque va in scena l’amore clandestino tra una matura signora (la sempre affascinante Michelle Pfeiffer) e un giovane dongiovanni, Cheri appunto, interpretato dal giovane ma già noto Rupert Friend (Orgoglio e Pregiudizio). Sceneggiato dal premio Oscar Christopher Hampton (Le relazioni pericolose), il film appare come una finestra “simpatica”, ma per alcuni tratti un po’ noiosa. Quello che stona veramente, e che stupisce, è l’essere nel concorso principale. Frears ci ha regalato cose migliori (The Queen e Dirty Pretty Things tanto per citarne due).
Nel pomeriggio non poteva mancare anche il lungometraggio cinese e per lungo intendo ben 150 minuti! Forever Enthralled, diretto da Chen Kaige (Addio mia concubina) è un ritratto complesso e biografico sulla figura di Mei Lanfang, uno dei più rivoluzionari cantanti cinesi, capace anche di essere camaleontico attore. Un simbolo e una leggenda, e non solo per la Cina. Dagli inizi al suo trasformismo recitativo (si specializzò nel personaggio della “dan”, ruolo femminile, cantando in falsetto) dalla guerra (e con essa il temporaneo ritiro), fino all’ultima apparizione. Un film che all’inizio parte lento, sembra annoiare e invece ti fa scoprire un mondo e un personaggio.
Chissà che la giuria non tenga conto di questo.. ma dubito possa succedere.
A cura di Andrea Giordano
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