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cultura dell'immagine e della parola

Diario dalla Berlinale
6 febbraio

Con un giorno di ritardo eccomi di nuovo di fronte alla Berlinale.
Una giornata relativamente “serena” mi accoglie, meno freddo di quanto pensassi..
Piccolo “incidente” consueto in aeroporto, dove allo sbarco vengo, come tutti gli anni bloccato dai poliziotti per la mia barba (nella mia carta d’identità non ce l’ho). Che abbia la faccia un po’ “sospetta” lo so, ma che una si debba tagliare o accorciare barba e capelli tutte le volte, consentitemi, che noia! Arrivato nel centro di Berlino e dopo i rituali ritiri accrediti, borse, pressbook (a migliaia come al solito) e casellario, nel pomeriggio, quasi subito, inizia per me la prima proiezione di giornata.

Al CinemaxX, imponente multisala, proprio a pochi metri dal Berlinale Palast, in una affollatissima proiezione stampa, passa in concorso il film di Francois Ozon, Ricky. Il regista parigino non è però “nuovo” al palcoscenico berlinese. Quarta volta per lui infatti in concorso, dopo Gocce d’acqua su pietre roventi nel 2000 (Best Feature Film), 8 donne e un mistero nel 2002 (premio dei lettori del Berliner Morgenpost) ed Angel – La vita, il romanzo nel 2007.
La pellicola, una coproduzione anche italiana (la Teodora Film, per intenderci quella dell’acclamato Irina Palm e dello stesso Angel) narra di una storia d’amore tra un uomo e una donna, interpretati da un sempre ottimo Sergi Lopez e da Alexandra Lamy, che dopo essersi innamorati hanno un bambino, Ricky appunto. Un bambino fuori dalla norma però, dotato di poteri straordinari. Il film, ispirato in partenza da una ‘short story’ della scrittrice inglese Rose Tremain, non sembra però regalarci quella magia narrativa che Ozon ha saputo negli anni costruire. La pellicola, che per stessa ammissione del regista sembra rimandare a uno dei film dei fratelli Dardenne, Rosetta, è sì un film sulla famiglia, che parla di personaggi semplici, dove quell’elemento caro al regista, ovvero l’ironia, cerca di fondersi con quello irreale e bizzarro. Il risultato che però consegue non convince pienamente. La storia questa volta è lenta, noiosa. Peccato.

Tardo pomeriggio dedicato a uno dei molti eventi presenti alla Berlinale: si tratta di John Rabe diretto dal regista tedesco (e premio Oscar nel 2000 per il cortometraggio Quiero ser) Florian Gallenberger. Un film storico e biografico sulla figura e sui meriti umanitari di John Rabe appunto, commerciante tedesco, trasferitosi in Cina durante la seconda guerra mondiale e che fu l’ideatore e artefice, durante il Massacro di Nanchino tra il 1937 e il 1938, delle zone di sicurezza a favore della popolazione cinese di Nanchino, diventate rifugio contro la brutale persecuzione dei miliari giapponesi. Un atto eroico che salvò la vita a 200.000 persone. La pellicola, che appare subito come un grosso investimento produttivo (moltissime le scene di guerra ricostruite e gli effetti speciali utilizzati), lavora bene su tutti i personaggi, anche quelli marginali. Il personaggio di Rabe, interpretato dal bravissimo Ulrich Tukur, si circonda di “alleati” importanti, dal Dott. Wilson, interpretato da un insolito e mimico Steve Buscemi, al Dott. Rosen, che ha il volto di Daniel Brühl (i molti se lo ricorderanno per il ruolo di Alexander in Goodbye Lenin). Ma oltre al personaggio di Rabe, è quello interpretato da Buscemi, che ci stupisce. Se nelle prime battute Buscemi ci appare “fuori luogo”, è poi nella seconda parte che riesce lentamente ad “emergere” in maniera convincente. Lui “caratterista di razza” (per i Coen, per Burton, per Jarmusch, tanto per citare alcuni registi con cui ha lavorato), ci mostra ancora una volta quella sua, “vertiginosa camaleonticità” interpretativa. Un personaggio serio, ironico e drammatico nello stesso tempo, che si fa apprezzare. John Rabe non è solo un omaggio filmico a un personaggio, che i molti finora non conoscevano, ma indubbiamente un duro attacco contro le barbarie nipponiche nei confronti della popolazione cinese.

Domani approfondirò qualcosa in più, grazie alle interviste che farò con il regista e con Steve Buscemi.
Il buio è ormai sceso e la fame finora sopita, si fa prepotentemente viva.
Un boccone al volo e poi dritti a letto, domani si ricomincia.

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