Tempi lontani
Il ritorno al cinema di Baz Luhrmann, dopo una pausa lunga e distensiva fatta un po’ per riposare e godersi gli utili dei successi, un po’ per trovare nuove idee che potessero portare ulteriori utili da smaltire chissadove, lascia sul fondo del bicchiere rimasugli di perplessità. Nulla a che vedere con i precedenti film e nulla a che vedere con le visioni del presente. Insomma Baz, da sempre estroso e geniale, davvero talentuoso e dissacrante (quanta energia in Romeo & Giulietta! Quanta saggezza creativa in Moulin Rouge!), ci riprova mescolando le carte dell’epica, del divismo (due tipi veri, da Australia vera, come Nicole e Hugh) e della storia con l’amore e la morte, e le mandrie impazzite, la magia degli stregoni e bambini dal sangue misto, e le bombe e le citazioni dei western di Leone e, soprattutto, le immagini di un paese, il suo, che ama dal profondo e che, sembra, voglia farci soprattutto ammirare, più che capire.
Il risultato è una grossa produzione che rischia di perdere gli equilibri fondamentali dell’intrattenimento, che si spinge un po’ troppo volentieri verso direzioni rischiose e che, forse, puzza un po’ di narcisismo. Dove tutto sembra possibile, come sembra suggerire il finale molto hollywoodiano, tutto sembra anche decisamente spaccato in due parti. La prima, dove la Lady Sarah della bella, brava ma spudoratamente plastificata Nicole – che strizza vagamente l’occhiolino a certi personaggi sofisticati dei classici western – s’incontra/scontra/innamora, con un certo piglio e conseguente divertimento dello spettatore, con il “bestiale” Hugh – che oltre a essere un punto di riferimento cinematografico australiano, ma non solo, al maschile è davvero fisicamente bestiale. La seconda, dove l’azione prende il largo, muoiono con una certa sistematicità/tragicità alcuni personaggi teneri e arriva la guerra con le conseguenze più devastanti. Il racconto mostra tutto questo, tenendo come filo conduttore la storia del piccolo Nullah, che rappresenta la resistenza aborigena e le immagini di Il mago di Oz di Fleming, come raccordo tra fantasia e realtà, immaginazione e desiderio, cambiamento e tradizione. Alla fine Baz è stato generoso, romantico e patriottico. Il bicchiere lo abbiamo bevuto, ma, effettivamente, il sapore resta poco in bocca.
Curiosità
Mark Anthony – Baz – Luhrmann, nato il 17 settembre del 1962, ha detto: «Nella storia dell’Australia la generazione rubata rappresenta un capitolo oscuro. La diffusione della teoria eugenetica ha avuto effetti devastanti sulla cultura indigena anche nel nostro paese e trovo che questo sia un tema molto serio che ho voluto approfondire nel mio film. Sebbene ci siano altre opere cinematografiche che hanno trattato questo tema, spesso si tratta di opere indipendenti e troppo piccole per raggiungere il grande pubblico. Tuttavia l’accoglienza al mio film da parte dei critici australiani è stata tiepida, a differenza di quella statunitense. Ma non importa, perché al di là dell’esito commerciale ho ottenuto comunque un ottimo risultato. Il primo ministro australiano ha portato tutti gli anziani delle tribù aborigene in parlamento e il paese si è fermato e si è scusato con loro».
A cura di Matteo Mazza
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