Il giovane Mark
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Se c’è un’impresa in cui è quasi sempre sconsigliabile imbarcarsi, dal punto di vista narrativo, è quella di imbastire una storia dal punto di vista del “cattivo”; soprattutto se il personaggio in questione è esistito realmente. I rischi sono due: se si punta sulla demonizzazione si finirà per avere un protagonista poco credibile, spesso ai limiti dello stereotipo. Se invece si cerca di portare a galla l’aspetto umano della vicenda, è facile che si vada a scivolare su un crinale moralmente impervio, alienandosi le simpatie dello spettatore che difficilmente ci perdonerà di averlo fatto immedesimare in quella che magari, fino a quel momento, aveva considerato una delle incarnazioni del Male.
Stupisce, quindi, che un esordiente come Jarret Schaefer, qui nella doppia veste di regista e sceneggiatore, abbia scelto per il proprio debutto filmico di confrontarsi con la figura di Mark David Chapman, lo psicopatico che nel 1980 uccise John Lennon. Ma stupisce ancora di più il
fatto che Schaefer, senza alcuna esperienza importante alle spalle, sia riuscito in Chapter 27 a trovare la strada giusta per portarci dietro agli occhi dell’assassino in modo efficace e tutt’altro che semplicistico, lavorando con intelligenza su una mole impressionante di testi e sottotesti i quali, una volta cuciti insieme con una buonissima mano registica, vanno a comporre il “mondo di Mark”, la realtà paranoide all’interno della quale, verosimilmente, Chapman deve aver vissuto nei tre giorni che passò aspettando Lennon davanti al suo appartamento in Central Park.
Il filo di Arianna che ci guida nel labirinto mentale di Mark è Il giovane Holden (The Catcher in the Rye), lettura consigliatissima per chi volesse presentarsi di fronte allo schermo con tutti i riferimenti già chiari nella mente. Dopo aver sparato a Lennon, infatti, Chapman dichiarò che il suo punto di vista sulla questione fosse perfettamente esplicitato dal libro, che aveva con sé al momento dell’omicidio. Partendo da questo assunto, il regista crea continui rimandi tra gli episodi della vita di Chapman inseriti nel film e le scene del libro, mettendo in bocca al protagonista le stesse frasi pronunciate nel romanzo e inserendo nella narrazione più di un momento allucinatorio ambientato in un campo di segale (come nei sogni del giovane Holden, appunto).
Se a tutto questo aggiungiamo una serie di “coincidenze” abilmente esplicitate e quindi amplificate, come il fatto che nell’edificio abitato di Lennon fosse stato girato Rosemary’s Baby (un film sul demonio diretto da Roman Polansky, la cui moglie fu uccisa da un altro fanatico dei Beatles come Charles Manson) o la massiccia presenza di personaggi con nomi beatlesiani – prima fra tutte la Jude che Chapman sceglie come sua confidente -, l’immersione nella psiche disturbata del protagonista risulta più che credibile. A innalzare ulteriormente di una spanna il livello della pellicola ci pensa poi Jared Leto, impressionante nella metamorfosi che lo ha reso identico a come appariva Chapman ai tempi della vicenda (cercatevi una foto in rete: resterete basiti) e abilissimo nel dare vita a una personalità maniacale in modo grottesco ma non macchiettistico. Il film ha ricevuto critiche discordi: presentato al Sundance e quindi al Festival di Berlino nel 2007, ha raccolto soprattutto recensioni negative, salvo poi vincere il Debut Feature Prize allo Zurich Film Festival nel 2008. Un riconoscimento che, purtroppo, non gli ha comunque permesso di ottenere la distribuzione importante che un’opera prima di questo livello meriterebbe.
Curiosità
Con tutta probabilità, il titolo del film si riferisce a un ipotetico ventisettesimo capitolo del del romanzo di Salinger (che ne conta ventisei) che Chapman, secondo il biografo Robert Rosen, avrebbe voluto scrivere “col sangue di Lennon”.
A cura di Marco Valsecchi
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