Leghismi d’oltralpe
C’era una volta un treno giunto alla stazione Centrale di Milano da cui scesero Totò e Peppino che per la prima volta si allontanavano dalla loro terra per andare a cercare il nipote circuito dalla Malafemmina. Era il 1956, in pochi avevano la televisione, il turismo non esisteva e internet non era ancora stato inventato. La grande città del nord era, per la gente comune, un luogo immerso nella nebbia, fredda e inospitale, un concentrato di luoghi comuni e di banalità raccontate per sentito dire. A distanza di oltre cinquantanni il posto che fu di Totò viene preso da Kad Merad, dirigente di filiale delle Poste che si finge invalido pur di ottenere un ambito posto in Costa Azzurra e, smascherata la truffa, viene spedito per punizione in un paesino del profondo Nord, nei pressi di Calais.
Giù al Nord è un classico esempio di commedia in cui il topos narrativo potrebbe essere riassunto in “prendi un personaggio e mettilo in un ambiente che non gli è congeniale e vedi quello che succede”. Immaginate di fare lo stesso in Italia. Per esempio con un maresciallo dei Carabinieri della provincia di Treviso che viene spedito a mondare i suoi peccati in un paesello dell’entroterra della Sardegna. Non siamo troppo lontani dalla realtà, visto che Medusa oltre a distribuire il film campione di incassi in Francia ne ha acquistato i diritti per farne una versione nostrana. Viene se il popolo francese sia realmente provinciale come quello descritto dal film di Dany Boon, capace di ridere fino alle lacrime per giochi di parole degni di “chi gioca in prima base? Chi!” e di luoghi comuni beceri e al limite del razzismo nei confronti delle regioni nordiche che potrebbero essere avvicinate al nostro meridione.
Il film di Dany Boon ha però il pregio di smontare i pregiudizi e di creare alcuni momenti particolarmente toccanti e/o esilaranti. Giù al Nord è un film semplice, senza grandi pretese ma che deve però essere considerato alla stregua di un vero e proprio fenomeno di massa, non un semplice film. Con 21 milioni di presenze nei cinema ha infatti frantumato ogni precedente in Francia, record di La grande Vadrouille con Louis de Funes che perdurava dal 1966. Paradossalmente il film ha trasformato la cittadina di Ch’tis in una meta di turismo cinematografico, quasi un luogo di pellegrinaggio.
Curiosità
Molti momenti comici del film sono basati sulle incomprensioni linguistiche tra il protagonista e i suoi nuovi colleghi. Sicuramente è impossibile apprezzare il film doppiato come potrebbe un francese madrelingua che lo fruisce in lingua originale, ma una volta tanto è bene fare un plauso ai doppiatori che hanno creato una sorta di dialetto ad hoc evitando la triste prassi di adattare un dialetto regionale nostrano. Vi potreste immaginare una cittadina del nord della Francia in cui si parla il sardo, il veneto o il ligure?
A cura di Carlo Prevosti
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