Milano Film Festival:
i corti (E)
Nessun premiato tra i corti del gruppo E, benché le premesse potessero far presagire almeno qualche menzione per qualcuno dei 5 corti in gara, dalle caratteristiche molto diverse ma tutti decisamente apprezzabili, a sottolineare il buon lavoro di selezione svolto quest’anno dagli organizzatori.
La batteria si apre con Wrestling, produzione islandese del 2007, che mostra come lo sport reso famoso dalla televisione abbia antiche origini nella tradizione popolare dell’isola nordica, dove uomini ancora oggi non dissimili ai vichinghi del nostro immaginario si sfidano in una sorta di ibrido tra la lotta greco romana e un balletto dai movimenti ambigui. Il regista, presente in sala, conferma di avere sempre trovato in questo sport, oggi praticato solo da una ventina di atleti, un tempo vere e proprie star paragonabili agli idoli del calcio di oggi, una grande carica erotica, immediatamente applicata alla narrazione della malinconica storia di amore tra due uomini. Glaciale nell’audio e nella fotografia nonostante le tematiche piccanti.
Il secondo cortometraggio in concorso è il documentario polacco Left behind, sulla desolazione di uno sperduto paese post sovietico della nuova Europa. Le immagini ci mostrano una realtà ferma a 20 anni fa, nulla di simile all’idea di Unione europea che ci portiamo comunemente appresso. Depressione economica, istituzioni corrotte, decadenza e abbandono sociale sono mostrate in modo crudo e immediato nell’efficace documentario che mostra la voglia di sopravvivere di alcuni giovani. I retaggi di un passato folle ma glorioso vivono nei paesaggi dell’archeologia industriale, quasi un monito istruttivo e un’allegoria della forza di volontà degli uomini, del desiderio di farcela.
Qualcosa di mai visto è il titolo del corto italiano della serata. Il titolo richiama allo stesso tempo sia l’ossessiva richiesta di un sovrano spaziale ai propri due esploratori cosmici, in viaggio tra i pianeti alla ricerca di esperienze sensazionali per appagare il proprio Signore, sia l’aspetto dei protagonisti, degli umanoidi dalla faccia, letteralmente, come il culo. Si tratta di una colorata e facetissima animazione, che scalda il pubblico di risate e che inorgoglisce per la provenienza nazionale. I personaggi parlano con una fantastica campionatura di peti, modulati sulla lunghezza dei sottotitoli ed estremamente espressivi. Indimenticabile il culo flaccido e invecchiato che sta in volto al Re, premiato da un’ovazione di meritati applausi.
La malizia degli organizzatori fa seguire il corto francese Nous, noi, che ben rappresenta il cliché del film francese noioso e bacchettone ottenendo, per contrasto con il precedente, un effetto nauseabondo. Sembra che i Cugini non sappiano davvero immaginare nulla di differente dal film muto con l’aggiunta, questa volta, del commento iper realista di un agente di polizia che si trova ad ispezionare l’appartamento dove, vittima della solitudine, è morto un anno prima un inquilino delle case popolari. Il film sarebbe l’home video girato dal defunto durante i momenti felici trascorsi con la sua amata, prima della loro separazione. Difficile immaginare qualcosa di più intellettualmente massacrante: credo che il pubblico rinunci alla ribellione solo dopo la lettura dell’inevitabile scritta “basato su una storia vera”, che infonde agli spettatori il pudore del rispetto verso la sofferenza reale di una persona, per tutti sempre in agguato, da esorcizzare con un rapido pensiero silenzioso e da gettarsi velocemente alle spalle.
Chiude il gruppo il corto spagnolo Un hombre Tranquilo, un uomo tranquillo, irresistibile biografia agrodolce di una ragazzina cresciuta in una famiglia “ravvivata” dal padre che, da solo, impersonifica tutti i difetti ascrivibili a un uomo dai comportamenti più indesiderabili, ma tuttavia autentico. Un vero cafone, chiassoso, irascibile, tradizionalista, maschilista ma buono, da cui la figlia sembra avere preso molto del carattere. È facile per lo spettatore riconoscersi, se non negli eccessi di un personaggio fuori dalle righe, nell’autenticità di un carattere molto comune e nell’esuberanza della realizzazione, premiata infatti da molti applausi.
A cura di Lorenzo Lipparini
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