Doppia T, come terrore e tragedia
Anche per Ozpetek è arrivato il primo film “su commissione”: il regista de Le fate ignoranti ha infatti accettato l’invito della Fandango di trasporre sullo schermo il romanzo Un giorno perfetto della Mazzucco e l’ha sceneggiato con Sandro Petraglia.
Poteva essere un segnale di cambiamento, la dimostrazione che l’universo-Ozpetek sa andare oltre la finestra di fronte, oltre le cucine in cui si ritrovano i soliti quattro amici (i soliti quattro attori) a consolarsi dei reciproci dolori. Ma l’occasione non è stata colta dal regista italo-turco, che ha confezionato un film davvero in 2D.
Non è chiaro se gli interessasse di più concentrarsi sul filone narrativo Emma-Antonio, per condurre lo spettatore attraverso e dentro una violenza privata che cresce e si fa pubblica tragedia, o se invece il suo volesse essere uno sguardo collettivo su una serie di persone/personaggi in qualche modo legati tra loro, che si muovono in uno spazio temporale di 24 ore che casualmente ne definisce il destino. In entrambi i casi, o forse per voler fare entrambe le cose, il risultato è che lo spettatore si trova di fronte a dei personaggi che, verosimili ma non veri, stentano a farsi carne e sangue, nonostante un cast potenzialmente “giusto” e un paio di belle prove d’attore (Mastandrea su tutti).
La presenza di troppe situazioni buttate lì a far da contorno all’intreccio principale (la sottotrama dell’onorevole, e relativi moglie e figlio, protagonisti tra l’altro di una delle scene più imbarazzanti e ridicole del film, quella del dipinto e di Marzamemi…) sottrae forza narrativa ad un rotolarsi addosso degli eventi che sembra piuttosto una faticosa salita, ostacolata invece che coadiuvata da alcuni inspiegabili elementi di sceneggiatura: la presenza della professoressa/Monica Guerritore è pretestuosa e a tratti fastidiosa, per il modo in cui vorrebbe stare silenziosamente accanto alla protagonista attraverso sguardi che dovrebbero rivelarci chissà quale significato sotteso, mentre non è chiaro (ma forse qui bisogna risalire al romanzo) secondo quale criterio una donna che il pomeriggio viene picchiata dal marito la sera stessa va a mangiare un gelato e accetta di lasciarli a casa con lui. È popolana, d’accordo, non cretina.
Tutto questo e altro ancora, condito da sprazzi di mestiere e dotti riferimenti (vedi scena del canneto), un bel piano sequenza iniziale che illude e un’occasione sprecata di mostrare la tragedia senza far vedere i corpi. Un ultimo quesito: ma il ruolo della Finocchiaro? Qualcuno, a Venezia, ha scritto che il vero giorno perfetto sarà quello in cui Ozpetek smetterà di fare film. Di certo quello in cui non farà più film che escono dal suo territorio consueto.
A cura di Antiniska Pozzi
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