hideout

cultura dell'immagine e della parola

La regia come arte marziale

La regia come arte marziale

Quando si pensa a un film sulle arti marziali, immediatamente ci si immagina un plot in stile Karate Kid (id., John G. Avildsen, 1984): un emarginato grazie alla lotta riesce a integrarsi vincendo a sorpresa un torneo. Quante storie del genere abbiamo visto? Bene, Redbelt è tutto un altro film. Il regista, quel David Mamet che è prima di tutto uno scrittore per il teatro e per il cinema (sua ad esempio la sceneggiatura de Gli intoccabiliThe Untouchables, Brian De Palma, 1987), è un grande conoscitore del jujitsu, ne detiene la cintura viola, e ha applicato al suo cinema le regole dell’antica arte giapponese.

Il jujitsu è infatti un’arte marziale del tutto particolare, quasi del tutto sconosciuta al cinema occidentale (se si escludono le coreografie di Arma letaleLethal Weapon, Richard Donner, 1987). Si basa infatti sulla passività, non sull’infierire colpi ma sull’utilizzare la forza dell’avversario per portarlo all’eccesso e metterlo al tappeto. Mamet, allo stesso modo, non eccede mai, non punta sull’enfasi del combattimento o sul patetismo dei suoi protagonisti, ma racconta una storia sapendo che una buona sceneggiatura e degli ottimi interpreti sono gli elementi necessari e sufficienti per rendere Redbelt un ottimo film. Come il protagonista non vuole sporcare la sua arte con la competizione, sembra che Mamet non voglia sporcare il suo cinema con la spettacolarizzazione. Alla fine entrambi, in parte si ricrederanno, con risultati comunque più che positivi. A parte qualche passaggio un po’ forzato, il film infatti sorprende e risulta intenso per tutti i suoi cento minuti. Come si accennava, contribuiscono decisamente anche le interpretazioni degli attori, a partire da quella di Chiwetel Ejiofor, l’attore britannico di origini nigeriane che, come Mamet, viene dal teatro, e offre una recitazione di testa prima ancora che di muscoli.

Peccato solo che la distribuzione italiana si sia quasi scordata di un film come questo. Malgrado il marchio Sony, è infatti uscito in sole dieci sale. Il consiglio è di cercare comunque di recuperarlo, per avere l’occasione di osservare le arti marziali con un occhio differente da quello classico del cinema Usa.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»