Venezia. Sembra ieri
4 settembre
Anne Hathaway, prima ancora di interpretare l’impacciata segretaria di Meryl Streep in Il diavolo veste Prada, fu coprotagonista di Brokeback Mountain di Ang Lee (era la moglie di Jake Gyllenhaal), Leone d’Oro 2006. Ieri è tornata alla Mostra come protagonista del nuovo film di Johnathan Demme, Rachel Getting Married, che è stato presentato in concorso. A conferma di quello che si diceva ieri, il film del regista di Philadelphia, segue i binari coraggiosi di questa mostra, raccontando la storia di un matrimonio che sta per arrivare, ma, soprattutto, la storia di due sorelle, dei loro conflitti delle loro invidie. Un film raccontato come un documentario (interesse specifico dell’ultimo Demme) che conduce dritto all’intimità della donna/figlia. Mi colpisce sempre l’invidia tra consanguinei. Un pò, mi ha sempre particolarmente impressionato la storia di Caino e Abele. Recentemente, mi ha particolarmente colpito e fatto riflette la parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32). Forse, il fatto di essere figlio unico, amplifica particolarmente le situazioni del film di Demme. Che vuole commuovere, ma anche indagare e mostrare le origini del legame, del contrasto, dell’invidia. Uno dei pochi film presentati in questa mostra con un’importante distribuzione (Sony), il film rischia di essere spacciato per una commedia a sfondo matrimoniale. Sarebbe un errore fatale. Stesso discorso vale per la traduzione del titolo. Vedremo.
Non è una commedia neppure Les Planges d’Agnès di Agnès Varda, gioioso esempio di docutestamento che catapulta indietro nel tempo alla scoperta della vita, degli amori, delle lotte, dell’amore vissuto con Jacques Demy. Operazione metacinematografica e divertente che unisce la passione della Varda per lo sguardo, il visibile, l’invisibile e per la sua ossessione per le spiagge, i colori, gli specchi e i riflessi. Un esperimento gustoso.
I toni realistici si mescolano con le atmosfere fredde e distaccate del film Il primo giorno di inverno di Mirko Locatelli, algida rappresentazione della realtà adolescenziale tra ricatti, paura e oppressione. Un progetto coraggioso (ha finanziato pure la Provincia di Milano) che mette in luce gli ostacoli relazionali dell’adolescenza, sia con l’altro, sia con se stesso (a volte le due cose coincidono). Limiti formali evidenti, ma Locatelli riesce a tenere lo sguardo fisso sul corpo dei suoi personaggi, sui non volti, sui non luoghi, sulle non parole. Interessante.
Chi sale e chi scende
Up
Uno. I capelli di Agnès Varda che ha dichiarato di tenerli bicolor perché così la fanno sentire viva e indecisa, così come lei si sente. Contraddizione affascinante alla tenera età di 80 anni…
Due. Chi scrive una cosa e poi il giorno dopo se la trova riscritta (diversa e da un altro) sulla rivista di cinema più famosa d’Italia (o almeno qui alla Mostra). Il mondo è piccolo (?).
Tre. Ai finti Up & Down (vedi sopra).
Down
Uno. Chi fa parte di una giuria e dice di aver visto un film e poi però quando gli (anzi, le) chiedi cosa pensa del film che dice di avere visto lei ti risponde che bhè insomma lei il film l’ha visto ma siccome era un pochetto stanca a tratti s’addormentava e a tratti lo vedeva e siccome però fa parte di una giuria che le chiede le stellette lei ne ha date 3 e mezzo! 3 e mezzo??? Ma vai a Marzamemi!
Due. Chi dopo un film sulla scrittura del corpo, la paura di cambiare, crescere e conoscersi, dice cose del genere: “ma come fa dai? una mamma così borghese a vivere in un casolare del genere? maddai!”. No scusa, ma in che senso? E’ come dire che il film di Demme è una merda perché alla fine sulla torta nuziale ci sta un elefante simbolo di tradizioni indiane. E lo so che qualcuno l’ha detto. Ma andate tutti a Marzamemi!
Tre. Dedicato a chi ancora non ha capito come funzionano le cose per accedere alle proiezioni. Pure tu vai a Marzamemi!
p.s. per capire il valore di Marzamemi è consigliata la visione del film di Ozpetek, Il giorno perfetto.
A cura di Matteo Mazza
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