Venezia. Sembra ieri
1 settembre
Non ce n’era bisogno, certo, ma oggi ancora si celebra il genio di Hayao Miyazaki che torna a Venezia con la storia dolcissima e coloratissima della pesciolina Ponyo che si innamora del bimbo Sosuke. Ponyo on the Cliff by the Sea, presentato in concorso, ha riscaldato i cuori e gli sguardi dello spettatore che sta scrivendo. Il film più bello, quello più colorato, divertente, felice di esistere e di essere guardato, raccontato e consumato. Favola dolce, con toni più infantili, ma senza tralasciare colte sottolineature e citazioni, Ponyo mescola i tratti comuni allo studio Gibli con quelli del mito greco, della tradizione giappo, della favola. È un mix di atmosfere e magia che fa sognare, come sempre.
Alla Mostra è bello lasciarsi sbattere dalle onde dei film, di sala in sala, fino alla deriva, proprio come accade in Ponyo. Un po’ per gustare più sapori, un po’ per lasciarsi guidare dal caso, dal destino o dalla fortuna. Ecco perché dopo un film come quello di Miyazaki, entrare in una conferenza stampa sembra una nuova esperienza esaltante. Anche questa ‘cosa’ assume un colore nuovo. E infatti, quando meno te lo aspetti, oggi, sei ancora lì a guardare sui monitor della sala stampa qualche rapida immagine di ieri, delle conferenze di ieri, degli sguardi, delle parole, dei sorrisi di ieri. Dal maestro Miyazaki, fino a Pupi Avati, da Ramin Bahrani, regista sconosciuto di un film leggero e intenso come Goodbye Solo, fino alla tenerezza di Alba Rohrwacher, alla tensione di Silvio Orlando, allo sguardo magnetico di Francesca Neri (che bellezza), al sorriso di Greggio che entra nel cinema di Avati e dichiara di non volerne uscire mai. Si ascoltano in silenzio le parole di chi il film l’ha fatto, e poi arriva il film. Il papà di Giovanna è una tragedia. E Avati lo fa intuire dalle prime immagini. Ricalca perfettamente il suo stile, collocando pezzo dopo pezzo, tutte le ossessioni del suo cinema, del suo modo di guardare dentro le persone, dentro sé stesso. È un pezzo di cinema, forse non perfetto, ma carico di emozioni, asciutto, concreto, intelligente.
La stessa concretezza si respira nella fuga ossessiva di due adolescenti raccontati dal regista spagnolo Gerardo Naranjo in Voy a explotar. C’è ancora il viaggio, la lotta con sé stessi, la scoperta del proprio corpo, la voglia di rintracciare l’identità perduta o mai raggiunta. Un film tra i tanti di questa Mostra che cerca di entrare nel profondo intimo di ciascun personaggio. Soprattutto nell’intimo della donna, sempre più protagonista. Sempre più di riferimento. Come sottolineava l’altroieri quella amica mia.
E anche in Vegas ci si scontra con la tragedia intima di una famiglia. Lo sguardo qui è forse più spostato sulla depravazione ossessiva dell’uomo nel cercare denaro e fortuna. Ma l’occhio della donna, anche qui, serve da bussola per entrare nelle intenzioni di chi vuole raccontare un delirio dell’epoca contemporanea. Assuefatto dal denaro, l’uomo avvia una lenta autodistruzione.
Ieri è stata una giornata gonfia. Come il mare di Ponyo. Oggi già un po’ la si rimpiange. Ma domani, lo so già, guarderò oggi con occhi diversi. La chiave è la distanza.
Chi sale e chi scende
Up
Uno. La giornata di conferenze stampa. Il livello si è alzato (merito pure della presenza della redazione di Hideout) e ci è sembrato di assistere ad un vero momento di scambio. Domande coerenti, risposte pertinenti.
Due. Miyazaki in concorso. È una gioia.
Tre. Chi, già da un po’, vede il bicchiere della Mostra mezzo pieno. Evidentemente la tartaruga di Kitano (altro che gallina!) serviva da monito…
Quattro. Chi trova, sempre e comunque, qualcosa su cui polemizzare. Evidentemente è un talento nascosto, un dono, un potere. Dalla disputa sulla censura (avvenuta o meno) di Guareschi nel film La rabbia di Pasolini, alla necessità (o meno) di proporre una rassegna come Questi fantasmi (sulla quale, a turno, giornalisti da ogni dove, si posano come api focose).
Down
Uno. Chi giudica e non vede. Chi entra ma esce subito. Chi dice che è pieno e invece è vuoto. Chi sale sopra il sedile e, comunque, non riesce a vedere. Chi cerca ansioso e non si accorge che ce l’ha sotto il naso. Chi fischia solo i film italiani e il logo Medusa. Chi è indifferente.
Due. Chi scambia noioso con impegnativo. Brutto con difficile. Chi dice: “sembra una fiction”. Chi crede che se un regista affronta spesso e volentieri le stesse tematiche è un regista vecchio, giunto al tramonto, senza idee. Allora Spielberg non avrebbe più dovuto raccontare storie di alieni e mostri?
A cura di Matteo Mazza
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