Cucina tradizionale
Tenerezza e lupi non sono due parole che trovi spesso affiancate. Di solito non si piacciono. Di per sé, tenerezza è poi un termine rischioso. Può risultare ridicolo o buffo, se associato a concetti insoliti. Come la presunta tenerezza dei tassisti donna, per dire, o di mamma coccodrillo. O, appunto, dei lupi. Se loro sono teneri, gli esseri umani in capo al romanzo lo sono un po’ meno. Per contrappasso di un continente americano ormai guastato, inasprito negli animi, come e meglio della vecchia Europa. L’omicidio di Laurent Jammet, un trapper, un cacciatore di pregiate pellicce di volpe, è un fatto nuovo per la vergine comunità di Dove River. Il paese, un po’ Brescello un po’ Cogne, è teatro tanto di un omicidio quanto di prevedibili e asfittiche beghe da comari. Che hanno il solo merito di innescare un altro evento scandaloso: il maggior sospettato dell’omicidio, William Parker, un nativo, nemmeno a dirlo, è fuggito con Mrs. Ross, la madre di Francis, il ragazzo misteriosamente scomparso in concomitanza del fattaccio. Se alla sua ricerca o se in preda a un impossibile amore, nessuno lo sa né ha voglia di pensarci.
Dove River rimane sospeso nel suo tempo placido, declinato al passato, per lo più. Il viaggio di Parker e della donna, invece, è qualcosa che proietta i due nel futuro: Stef Penney trasmette bene la sensazione di proibita novità sulle labbra dei due protagonisti. In particolare sulla figura femminile, concentra tutte le incerte riflessioni di un mondo, quello dell’etichetta dei doveri femminili, che va in pezzi, di fronte alla durezza delle condizioni di vita di quei luoghi. E’ Mrs. Ross, che è sempre chiamata con questa formale formula, la creatura metafora dell’intero romanzo: lupo e tenerezza insieme, è la leonessa che difende i cuccioli e procaccia il cibo, nello stesso tempo. Non è una figura femminista. Possiede ancora, connaturata in sé, l’obbedienza della donna oggetto. Mostrando di essersi evoluta da quella che fu l’originaria Costola, ma con ancora preziosa strada da fare.
La traduzione, come da tradizione nostrana, è alla portata di tutti. Aizza però le debolezze del romanzo. Una prosa media porta decisamente a concentrarsi di più sull’intreccio. Se questo latita, può essere un problema. La macchina narrativa ha degli ottimi interni, ma ha le gomme sgonfie e viaggia lenta. Le situazioni a due dei protagonisti sono costruite alla perfezione, tuttavia il circondario di personaggi è superfluo e frena l’azione. “Chi sia chi” si capisce troppo presto. La suspense è cosa sconosciuta all’autrice. Un elemento, una misteriosa tavoletta con incisi alcuni segni che si pensano essere l’unica e l’ultima eredità della scomparsa scrittura indiana, avrebbe potuto aprire interessanti scenari extra fiction. Inspiegabilmente questa parte del romanzo, sussurrata in più punti da più personaggi, alla fine è come dimenticata, tralasciata. Per il trionfo dei buoni sentimenti chiaramente. Il cattivo perde e scappa con la coda tra le zampe. La pietanza già conosciuta viene propinata e ingurgitata. Con il contorno, nuovo e tentatore, finisce a schifìo.
L’autore
Stef Penney è nata a Edimburgo nel 1969. La tenerezza dei lupi è il suo primo romanzo.
A cura di Stefano Aldeni
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