La vodka ai giurati
Dopo otto anni di assenza dal grande schermo, torna l’autore di Oblomov (Neskol’ ko dnej iz zizni I.I. Oblomova, 1979) e Oci Ciornie (id., 1987), con un’operazione molto interessante, almeno sulla carta, quella di adattare un film hollywoodiano classico. Si tratta di La parola ai giurati (12 Angry Men, 1957), esordio alla regia di Sidney Lumet, uno dei più famosi courtroom movie, i film di ambientazione giudiziaria, della storia del cinema. Mikhalkov non ne fa un semplice remake, come aveva fatto William Friedkin nel 1997, ma un adattamento molto libero, trasponendone la vicenda nella Russia contemporanea, una società instabile e piena di contraddizioni, ancora sconvolta per le guerre in Cecenia. La parola ai giurati è un film di impianto teatrale classico, caratterizzato dal rispetto delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, dai dialoghi brillanti e sostenuto da interpreti superlativi, come Henry Fonda. Come tale, rappresentando sentimenti universali, si presta a essere tradotto in nei modi più svariati. È del resto tratto da un dramma di Reginald Rose, peraltro allestito da Mikhalkov al Teatro Schukin di Mosca.
I giurati rappresentano le più disparate categorie della Madre Russia, e le loro argomentazioni sono il frutto del loro vissuto personale, più che di ragionamenti obiettivi. Mikhalkov è ben lontano dall’interesse giudiziario di André Cayatte che, con un film molto simile, Giustizia è fatta (Justice est faite, 1950), espone la tesi dell’inadeguatezza dell’istituzione delle giuria popolare. Niente di tutto ciò. Al regista russo interessa solo dare uno spaccato di una società in fase di transizione. La Russia è colta in un momento difficile, di stenti. Vengono messi in scena anche meschini sentimenti nazionalisti e rappresentati i fantasmi delle guerre cecene.
Il film si esprime attraverso una polifonia narrativa, in cui ogni personaggio si apre intimamente agli altri undici, e al pubblico che viene coinvolto così in un percorso esistenziale spesso sofferto. Purtroppo Mikhalkov si lascia andare ai suoi svolazzi autoriali, annacquando così il tutto. Un’overdose di scene surreali, oniriche che sembrano fatte apposta per marcare la differenza con il cinema americano e per affermare così il proprio status poetico. Un po’ di misura avrebbe salvato il film che, viceversa, appare come un’operazione di maniera rispetto alle opere importanti del grande regista.
Curiosità
Il film è stato girato scena per scena, seguendo lo sviluppo narrativo, a eccezione dei flashback ambientati in Cecenia, che sono stati girati ad Aberdeevka, nella regione del Krasnodar.
A cura di Giampiero Raganelli
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