Grosso e verdone
L’epopea dei fumetti di supereroi et similia, sul grande schermo, si arricchisce di un nuovo capitolo. Tocca ancora al gigante verde prendersi la scena, dopo avere già dato con il primo film, per la regia di Ang Lee, e la nota serie televisiva degli anni Settanta. Come spesso succede nei film tratti dalla storica casa editrice Marvel compare, in un ruolo cameo, il suo fondatore, creatore di tutti i personaggi classici, Stan Lee. Questa volta lo si vede morire avvelenato all’inizio del film. Sembra proprio una metafora, ancorché involontaria, della piega che stanno prendendo le produzioni cinematografiche di quella che era chiamata la “Casa delle Idee”.
Si tratta ormai di prodotti industriali, sfornati a ritmo di fabbrica e affidati a registi mestieranti. Nulla a che vedere con il cinema d’autore di Sam Raimi o Ang Lee, che avevano saputo rielaborare, secondo la propria visione, l’universo dei supereroi creato dal grande Stan. Un mondo questo già di per sé caratterizzato da una notevole ricchezza e complessità di tematiche. Il personaggio di Hulk è emblematico di questa concezione marvelliana, sia nell’ideazione originale, di Stan Lee e del disegnatore Jack Kirby, dei primi anni Sessanta, che nella sua rielaborazione più recente, opera dello scrittore Peter David e dell’illustratore Todd McFarlane. Non si tratta di un supereroe tradizionale, che indossa la calzamaglia per combattere i cattivi e salvare il mondo, bensì un mostro, risultato di un incidente atomico. E Bruce Banner, il suo alter ego umano, non è nemmeno in grado di controllare le sue trasformazioni nella creatura verde. Lui cerca di fare il possibile per trovare una cura a quella che per lui è una patologia, per arrivare poi ad accettare il motto martelliano secondo cui a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità. Hulk non è l’eroe mosso da nobili ideali, come spesso succede nella Marvel, ma un essere solo istintivamente votato al bene.
Tutte queste tematiche sono appena sfiorate dal film, che è semplicemente un action, peraltro di mediocre fattura. Manca dello spessore del primo film di Ang Lee, che arrivava a porre una riflessione metalinguistica sul rapporto tra cinema e fumetti, sul contrasto tra immagine fissa e in movimento. Ma forse sarebbe chiedere troppo. E non basta un cast strepitoso a risollevare le sorti di un’opera scadente. Ma non è finita qui, la Marvel ne ha in cantiere ancora parecchie.
Curiosità
Il film costituisce il secondo capitolo della serie Road to Avengers, che porterà a un film sui Vendicatori, gruppo eterogeneo di supereroi. Si segue la prassi consolidata della continuity Marvel, in cui i personaggi fanno parte di un comune universo e possono incontrarsi. Qui, infatti, appare Tony Stark (Iron Man).
A cura di Giampiero Raganelli
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