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Le figurine dei ricordi

Le figurine dei ricordi

Si respira un’aria leggera e fresca entrando con gli occhi nel film del brasiliano Cao Hamburger. Eppure L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza è costruito essenzialmente seguendo due binari: l’estate, con i Mondiali del ’70 vinti dal Brasile di Pelè, e i ricordi che, spesso, quando si uniscono all’estate, fanno rima con nostalgia.

Passato da Berlino ’08 insieme a Tropa de elite, l’altro film brasiliano vincitore del Leone d’oro, il film del 44enne paulista di origini ebraiche Cao Hamburger assomiglia a un vero e proprio scrigno di segreti, bugie preziose e sogni, che da un momento all’altro è pronto ad aprirsi per sprigionare la sua sensibilità e la sua intelligenza. Un film leggero nel senso che riesce a mescolare più generi, dalla commedia al dramma, dall’indagine sociale al teen movie, senza smarrire la sua missione, la sua vocazione di raccontare con gli occhi di un bambino di dieci anni il Brasile del 1970, quello che si fermò per vedere e celebrare i suoi campioni del Mondo. Una razza sopraffina di campioni e sportivi, una seleçao verdeoro spaventosa, che faceva battere il cuore a tutto il Brasile ancor prima di vincere le partite.
Hamburger insegue gli occhi di Mauro lasciato a casa dal nonno mentre i genitori dicono di andare in vacanza nascondendosi, in realtà, dalla dittatura. Le immagini, la fotografia leggermente sgranata, le musiche incessanti sono sfumature necessarie e nostalgiche che conducono lo spettatore a cogliere i particolari della solitudine di Mauro. Avere dieci anni e scoprire lentamente di essere stati abbandonati. Cosa rimane? Le figurine, il pallone per giocare a calcio, il cortile e qualche amico che, nella maggior parte dei casi, non è molto affidabile. Proprio disegnando questa solitudine forzata, sorta di traiettoria formativa, Hamburger fa incontrare a Mauro il gusto e la scoperta del proibito, facendogli assaggiare a sprazzi piccole dosi di voyeurismo e femminilità.

Questo è un film in cui la dimensione del gioco assume i connotati della salvezza, della redenzione, del riscatto sociale. Mauro gioca sempre a qualcosa. Da solo, in compagnia, con la mente, con chi lo ospita, quando si mette a cucinare. È soprattutto nei momenti in cui il gioco è assente che la solitudine torna a bussare alla porta e Mauro torna a guardare il telefono in attesa di una chiamata che non arriva. Ma poi arriva Pelè, o’rey, che sistema le cose in campo e, forse, mette anche qualche pezza nel cuore di Mario, a cui, così, luccicano gli occhi per due diverse ragioni.
Un film, infine, generoso e sincero nel mostrare le contraddizioni di un popolo che da sempre lotta con la povertà e che, qui nello specifico, si trova a lottare contro la dittatura, parentesi forse troppo in fretta dimenticata.

Curiosità
L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza è il secondo lungometraggio di Cao Hamburger. Il suo primo film Rá-Tim-Bum, The Movie (1999) ha ottenuto un buon successo di critica e di pubblico. In televisione, il regista è responsabile di successi come la pregiatissima serie per bambini Castello Rá-Tim-Bum (1995), per Tv Cultura, che ha vinto premi in tutto il mondo, ed è il regista di un episodio della serie City of Man (2004) per Tv Globo. Più recentemente ha lavorato alla creazione e alla regia della serie Filhos do Carnaval (2006), prodotta da HBO. Questa serie in sei episodi racconta la storia di Anesio Gebara (Jece Valadão), il proprietario della scuola di samba e di un banco illegale della lotteria “Jogo do Bicho”, e dei suoi quattro figli. Prima dei lungometraggi, Hamburger ha diretto diversi cortometraggi per i quali è stato premiato in Brasile e all’estero. La dittatura militare brasiliana ebbe inizio con il colpo di stato nel marzo del ’64 e continuò sino al 1985. Negli anni Settanta, il quartiere di Bom Retiro era un vero calderone di gruppi e culture etniche, molto caratteristico a San Paulo. Accanto all’immensa comunità ebraica che viveva in quella zona, si potevano trovare italiani, greci e immigranti arabi, oltre ai brasiliani, che vivevano tutti insieme pacificamente. Oggi, Bom Retiro ha perso la maggior parte dei suoi vecchi abitanti, che hanno ceduto i loro possedimenti a uomini d’affari coreani e immigrati boliviani, ma mantiene tuttora le sue caratteristiche commerciali.

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