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Cannes:
vincitori e vinti

Laurent Cantet con la Palma d'Oro conquistata per Entre le mursVa detto anzitutto che il film di Clint Eastwood, Changeling, era a una spanna sopra tutti gli altri, pur all’interno di un concorso in cui la qualità media era molto alta. Non averlo premiato con la Palma d’oro, il massimo riconoscimento di Cannes, è stata quindi un’ingiustizia. Ma in fondo era nell’aria. Nei giorni scorsi il Presidente della Giuria, Sean Penn, dichiarava che per il verdetto sarebbero stati seguiti criteri agli antipodi di quelli degli Oscar. Difficilmente la Palma sarebbe potuta andare a un film hollywoodiano. In più Changeling è stato vittima di fraintendimenti, anche da parte di noti critici italiani che lo hanno trovato ottimista e consolatorio e hanno definito monocorde la protagonista. A una attenta visione del film, si capisce che nulla è più lontano dalla realtà, anche se Eastwood gioca sapientemente a farcelo credere fino all’ultimo. Probabilmente non ha giovato a un film così complesso e ricco di tematiche, la collocazione festivaliera, dove si vedono un film dopo l’altro.

A Eastwood è andato comunque il Premio speciale e la Giuria, barcamenandosi tra riconoscimenti vari e collaterali, è riuscita salomonicamente a dare un contentino tutti i film meritevoli: Garrone, i Dardenne, Ceylan, Sorrentino e McQueen. La nota stonata è invece proprio la Palma d’oro, scandalosamente assegnata a Entre le murs, non certo l’opera più riuscita di Laurent Cantet.
Giusto riconoscimento per gli italiani Garrone, cui è andato il Grand Prix, in pratica il secondo premio, per Gomorra, e Sorrentino. Sono gli unici registi, o quasi, a emergere dalla melma melensa del nuovo cinema italiano. Spiace naturalmente che Toni Servillo, protagonista in entrambe le opere, non abbia ricevuto il premio come migliore attore, andato invece al pur meritevole Benicio del Toro che si è calato nei panni di Che Guevara. Singolare il destino che accomuna i due giovani cineasti italiani. Entrambi si sono trovati a dirigere film “politici”, pur non provenendo da un cinema militante e hanno saputo risolvere brillantemente la sfida, evitando di scadere nel cinema d’inchiesta e filtrando i soggetti attraverso le proprie personali sensibilità artistiche. D’ora in poi verranno inevitabilmente catalogati come i nuovi Petri o Rosi, i fautori di un cinema di impegno civile. Basterebbe guardare la loro filmografia per rendersi conto di quanto fuorviante possa essere una tale attribuzione. Ma sui giornali italiani il film Gomorra è già diventato un caso come lo era stato il libro, complici la contemporaneità con l’emergenza rifiuti di Napoli e l’anniversario della strage di Capaci. E si parla comunque del film come di una semplice appendice del best-seller, senza considerare il lavoro di trasposizione che è stato fatto. Sembra che il film sia di Saviano, non di Garrone.

A prescindere dai Palmarès, non si può non rilevare la peculiarità dell’edizione di quest’anno del festival, dove ha spiccato la totale assenza in concorso di film iraniani, che ormai erano una costante in ogni festival, e la poca rappresentatività del cinema dell’estremo oriente che pure predomina ovunque. A fare la parte da leone sono state sorprendentemente le cinematografie sudamericane, anche se più per quantità che per qualità. Che sia la nuova tendenza?

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