hideout

cultura dell'immagine e della parola

Slipstream – Nella mente oscura di H.

Slipstream - Nella mente oscura di H.

La gatta sul tetto che scotta, (Richard Brooks, 1958) L’invasione degli ultracorpi (Don Siegel, 1956), L’ultimo spettacolo (Peter Bogdanovich, 1971), il teologo antinazista Bonhoeffer, l’ultimo cinema di Lynch, Focus on film, questa la scritta che mostra Cristian Slater in una foto promozionale, “Ciò che vedi nello specchio è più vicino di quanto sembri”. “Tutto è un film”. “Sweet Dreams”.

Indipendente, ricco di star, in digitale. Hopkins sembra essere stato fulminato da Inland empire (David Lynch, 2006): una storia di metacinema che non giudica il percorso creativo ma ne rimane invischiato, perdendosi.
Il senso di morte e di fine entra ed esce dal film, rimbalzando sulla realtà di un attore diventato regista, sceneggiatore e compositore, imprigionato in ruoli e dimentico della sua natura umana, di persona che non interpreta ma vive.

Se per certi versi alcune scene, soprattutto quelle che esplicitano il malessere del protagonista, sembrano essere scene reali/realistiche di un Hopkins denudato dai ruoli precedenti che si mostra in tutta la pesantezza della sua età, la fusione dei piani reale-immaginario e la reiterazione di alcuni concetti, espliciti – “Un sogno nel sogno” – tolgono fascino al film.
La potenza di Lynch è quella di incutere un terrore disarmante nei confronti di una rappresentazione che, non solo ha smetto di “rappresentare”, ma addirittura ha il potere di decostruire la realtà come la conosciamo (e i modi di raccontarla); Slipstream si perde nella spiegazione dell’incubo, nella descrizione del disagio e nella ostentazione del pericolo di fondere i mondi.

Una frase, un’inquadratura e un riavvolgimento del nastro di troppo. Ma un flusso che passa e trascina, infastidisce e annoia, non fa abbastanza paura, non stupisce. Una scelta curiosa.

Curiositò
Christian Slater interpreta il folle e violento Ray con una carica che ricorda i Drughi di Kubrick e il Boyd di Cose molto cattive di Peter Berg (1998): occhi scintillanti da pazzo e una carica espresiva corporale pesante, magnetica.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»