Cerco un centro di gravità permanente
Un centro di gravità permanente: è una delle cose che mancano a questo film indipendente, che vorrebbe ascriversi al genere drammatico, ma anche al genere commedia, ma anche a quello intimistico/romantico. È proprio così, come dice il titolo, l’amore non basta. Ci vuole qualcosa di più per fare un buon film, e per quanto in arte non esistano ricette codificate, l’amore (per il cinema, per un personaggio, per una storia) non basta. Una storia, per esempio, non sarebbe bastata ma avrebbe aiutato, e in questo film non c’è una storia. C’è una situazione, uno stato di cose, una relazione irrisolta e irrisolvibile tra due anime in pena che hanno i volti di Giovanna Mezzogiorno e Alessandro Tiberi (due bravi attori, ma neanche loro bastano): una non-trama che finisce per snervare lo spettatore nonostante la breve durata della pellicola (84 minuti, il che sarebbe un merito dati i tempi che corrono), tanto più perché il film inizia in maniera accattivante con un piccolo giallo. Una hostess, un passeggero terrorizzato di volare, un diario abbandonato: promesse di un intreccio che non inizia mai e, non iniziando, non può finire.
Per l’intera durata della pellicola vediamo vagare i due amanti tra l’interno di una casa che custodisce e protegge le loro ossessioni e paure, e l’esterno della provincia italiana, con tutto il suo carico di chiusure (urbanistiche e metaforiche): si dichiarano amore, s’insospettiscono, si detestano, si guardano, si spiano, ci provano, s’interrogano e alla fine… non fanno assolutamente niente. Restano indecisi e fondamentalmente apatici, anche quando con uno scatto d’ira sembrano voler voltare pagina. E la cosa peggiore è che non si riesce a provare neanche un po’ di umana pietas nei loro confronti. Perché?
La non-storia – ambientata in Abruzzo, all’Aquila – è stata scritta dal giovane regista, Stefano Chiantini, aiuto di Vincenzo Marra per Passaggio a Sud e autore di film indipendenti, insieme all’attore Rocco Papaleo, e soffre della mancanza di una struttura narrativa, predisponendo due e più personaggi a un’azione che resta sospesa. La conseguenza è l’impossibilità di identificarsi in qualcuno dei troppi personaggi messi in campo e di emozionarsi davvero, difetto imputabile anche alla non appartenenza ad un ambiente di genere definito. La ‘situazione’ descritta resta in bilico tra comico e drammatico, non tocca il grottesco, non sprofonda nella tragedia e offre troppe divagazioni che non conducono da nessuna parte, rendendo il film piuttosto indigesto.
A cura di Antiniska Pozzi
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