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Leggera e frizzante

Leggera e frizzante

Il segreto di Ortelia, il racconto di Andrea Vitali da cui Alberto Rondalli ha tratto il suo lavoro, era già stato pubblicato nel 2001 all’interno della raccolta L’aria del lago. E quest’ultimo titolo è stato scelto per il film, in modo decisamente felice: è il lago, infatti, il protagonista assoluto della commedia, ricercato con insistenza dalla macchina da presa ma anche evocato nelle atmosfere perfettamente aderenti a quelle descritte dallo scrittore di Bellano.

Per raccontare la tragicomica storia di Amleto Selva e dei suoi compagni di bagordi, Rondalli si affida a un tono apertamente farsesco, giocato su ricorrenti gag mimiche e verbali e su un continuo gioco di allusioni. La giocosa ilarità che permea tutto il film trova adeguato riscontro in un gruppo di attori ottimamente assortito, in gran parte proveniente dal teatro (spiccano le prove di Ruggero Cara nella parte del dottor Durini e Francesca Mainetti in quella di Cirene), arricchito dal sorprendente Mario Opinato nel ruolo del protagonista. Talvolta, va detto, il regista si fa un po’ prendere la mano, spingendo all’eccesso le macchiette da lui stesso create, e in alcune scene l’approccio caricaturale finisce per risultare eccessivo. Ma la carta vincente, come detto, Rondalli la gioca su un altro tavolo: quello dell’ambientazione, curatissima fin nei minimi dettagli, dai costumi alle scenografie. Il luogo dell’azione, perfettamente ricostruito (non potrebbe essere altrimenti: anche il regista, come Vitali, gioca “in casa”) fa da cornice ideale a una vicenda rapida e brillante, sottolineata dal montaggio e dall’ottima colonna sonora curata da Alessandro Sironi, che alterna brani d’epoca (Un’ora sola ti vorrei, Non dimenticar le mie parole) a motivi orchestrali originali. Di particolare interesse il modo in cui è affrontato il tema del fascismo: l’ascesa del regime sembra non toccare gli abitanti di Bellano, lasciando apparentemente indifferenti i paesani e in particolare l’allegra combriccola del dottor Durini, ma in realtà finisce per imporsi nel tessuto sociale, penetrando attraverso il suo linguaggio tronfio e retorico nella vita di tutti i giorni della comunità (persino Amleto, con la sua parlata rozza ed essenziale, urla alla moglie sbigottita: «Milioni di occhi ci guardano!»). Non a caso il film si chiude con un’inquadratura sulla radio che trasmette il discorso di Mussolini sull’entrata in guerra; e persino il monologo finale del dottore («Ci credevamo forti, liberi, virili…») sembra riferirsi alle illusioni di un’intera generazione, più che a quelle di un gruppo di amici.

Dopo tre quarti di film vissuto sulla scia di una spensieratezza quasi eccessiva – e a tratti piuttosto ripetitiva – nel finale le pulsioni carnali dei protagonisti lasciano spazio dunque a riflessioni decisamente più malinconiche. Con un certo stupore, lo spettatore si accorge di aver assistito a un racconto più drammatico che faceto, rivisto però attraverso una lente del tutto particolare, capace di rendere ogni cosa leggera e frizzante. Come l’aria del lago, appunto.

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