Ricordati di me
Questa è una di quelle felici occasioni in cui i traduttori italiani non mettono mano al titolo originale dell’opera e, purtroppo accade spesso (forse più nel cinema che in letteratura), lo stravolgono. Patrimonio. Una storia vera è Patrimony. A true story, poche parole che racchiudono il senso di un’esistenza. Perché in questo caso lo scrittore americano Philip Roth non ha inseguito e creato la storia che dà corpo al suo racconto. È questa storia (vera) che l’ha raggiunto, e come la più semplice delle operazioni è uscita dall’inchiostro della sua penna, come se si scrivesse da sola. Potremmo addirittura affermare che in origine è questa stessa storia ad aver creato, dato vita, a Philip Roth. Perché è di suo padre che stiamo parlando, dell’uomo che lo ha messo al mondo, che gli ha lasciato in eredità la vita e il ricordo, il dovere di ricordare.
Hermann Roth è un vecchio ebreo ottuagenario, duro, caparbio e risoluto, ma comunque tenero e, in un modo tutto suo, amorevole. Un padre. Per lo scrittore americano: il padre. Che in una lettera scritta di suo pugno conclude: «Continuerò sempre a fare hock hock hock (termine di origine yiddish che significa tormentare, fare con le parole un buco nella testa di qualcuno) e a importarmi. Sono fatto così, con le persone che mi importano».
E così anche lo scrittore fa hock hock con le parole e ci martella con le memorie della Newark che fu, e della trama dell’esistenza di suo padre che si è sfilacciata dopo la morte della madre, e del cancro al cervello che cresce mentre al vecchio testone importa solo di vederci meglio e di curare una cataratta.
È un libro toccante, ma si tratta di un libro in un certo senso anche indecente, e Roth per primo si accorge dell’indecenza della sua professione, per la quale ha continuato a scrivere queste pagine mentre il padre era malato e moriva. Era necessario tutto questo per tenere vivo il ricordo? A questa domanda mi astengo da ogni giudizio e rimando alla coscienza di ogni lettore.
Ma sono convinto che il figlio non faccia altro che portare sulle spalle l’eredità celata di un padre che, come lo spettro del re di Danimarca, impone ad Amleto il suo memento: «Ricordati di me».
Del resto era proprio Hermann a credere che essere vivi significa essere fatti di ricordi. Per lui, se un uomo non è fatto di ricordi, è fatto di niente.
Se la mettiamo così, è giusto: «Devo ricordare con precisione, ricordare ogni cosa con precisione, in modo che quando se ne sarà andato io possa ricreare il padre che ha creato me. Non devi dimenticare nulla».
L’autore
Philip Roth, nato a Newark nel New Jersey il 19 marzo del 1933, è uno scrittore statunitense di origine ebraica. Ha vinto il premio Pulitzer nel 1997 per Pastorale americana e numerosi altri riconoscimenti. È l’unico scrittore americano vivente la cui opera sia pubblicata in forma completa e definitiva dalla Library of America.
A cura di Michele Marcon
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