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Che ne sarà di lui

Che ne sarà di lui

Se suo fratello Gabriele “vuole fa’ l’americano”, il giovane esordiente Silvio vuole farci sapere, costi quel che costi, che lui “il Cinema” lo conosce bene e lo ama parecchio.
Il prezzo per lo spettatore sono 115 minuti che passano affaticati e affaticanti, sia per motivi contenutistici che formali. La quantità di dramma presente nella pellicola è decisamente sbilanciata rispetto agli altri ingredienti, tanto da oscurare persino il lieto fine.

Questo dipende, oltre che dalla sceneggiatura, da tutti gli elementi che sottolineano volutamente la drammaticità insita nelle situazioni, latente in tutti i personaggi, dalle caratteristiche fisiche del cugino tossicodipendente (qui è dove impariamo che Muccino jr ha studiato Lombroso), alle pose artefatte di Benedetta/Carolina Crescentini, seduta tristemente/sensualmente al pianoforte in una casa grande, semivuota e abitata dalla disperazione di vivere (qui il ragazzo si ispira a Bertolucci, modello dichiarato del resto da lui stesso).

Poi, i due personaggi principali, Sascha (interpretato da Muccino stesso) e Nicole (bella e brava Aitana Sánchez-Gijón), vengono disegnati in stile nouvelle vague, mentre replicano la scena del dialogo sul ponte di A bout de souffle di Godard (non può mancare il cinema francese nella formazione di un buon regista). Per non parlare della disco-festa in maschera che sembra voler essere una versione aggiornata delle atmosfere di Eyes Wide Shut.

Il tutto sottolineato da una fotografia spinta a dettagliare oggetti e corpi volutamente e straziantemente estenuati, forse nel tentativo di esprimere una delicatezza dell’animo e dei sentimenti che finisce per restare totalmente soffocata sotto una coltre di riferimenti da cinema. Nulla di tutto ciò rende un buon servizio a una sceneggiatura già poco scorrevole.

È forse questo il difetto macroscopico del film: una forse inconscia volontà di dimostrare qualcosa, di fare “alla maniera di” qualcuno e non alla maniera di se stessi. Guardando il film si finisce per convincersi che l’esordiente Muccino il Cinema lo ama davvero, e lo conosce anche: il fatto è che questo non è sufficiente per scrivere e dirigere un buon film.

Parlami d’amore vorrebbe parlare dell’amore, sentimento feroce, destabilizzante, poco rassicurante: qualsiasi cosa dica sull’amore non si sente, non arriva allo spettatore che, tra suicidi e lutti non elaborati, sprofonda sempre più nel dramma. E nella poltrona.

Curiosità
Carla Vangelista, prima di cimentarsi con Parlami d’amore ha collaborato alla sceneggiatura di Signorinaeffe (2007) e alla fiction Rai Crimini: troppi equivoci (2006).

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