Intervista a J.J. Abrams
Un progetto importante e complesso come Cloverfield è opera, ancor prima del regista, del suo produttore, quel J.J. Abrams già autore di serie di successo come Lost e Alias. Ecco cosa ci ha detto per presentare il film.
Com’è nato il progetto Cloverfield?
Sono rimasto colpito dal fatto che in Giappone il mito di Godzilla sia ancora vivo, mentre negli Stati Uniti è ormai finito nel dimenticatoio. Così ho iniziato a pensare, cosa farei se vedessi un mostro alto quanto un grattacielo, di fronte al quale sembro un granello di sabbia? Mi piaceva l’idea di inquadrarlo dal basso, e non dal punto di vista onnipotente o del regista. Ho pensato a un possibile incontro fra Cameron Crowe con Godzilla e Blair Witch Project e l’ho presentato ai dirigenti della Paramount, Brad Weston e Brad Grey. Tutti hanno aderito con entusiasmo, ed è stata un’esperienza memorabile.
Perchè ha scelto un esordiente come Matt Reaves per la regia?
Questo film è totalmente diverso da ciò che Matt ha fatto finora. Ma la ragione per cui l’ho scelto è il suo interesse nei confronti dei personaggi; sapevo che li avrebbe curati con molta attenzione, diversamente da come si comportano la maggior parte dei registi di videoclip o pubblicità. Molti horror, oggigiorno, non sono altro che film violenti e semi pornografici, in cui lo spettatore non riesce affatto identificarsi. Matt invece familiarizza con i personaggi.
Da dove avete preso spunto per l’idea del filmato amatoriale?
Quando ho iniziato a pensare a questo film, mi è venuto in mente l’attuale fenomeno di YouTube. Visitando il sito, si trova sempre un video, girato in qualche parte del mondo, in cui qualche sconosciuto ha ripreso le reazioni delle persone, da un punto vista inosservato. Ci siamo chiesti, “Come sarebbero le riprese amatoriali di un evento orrendo e spontaneo?”. Spesso il materiale girato dai non professionisti mostra prevalentemente il panico e le reazioni della gente, e non quello che sta succedendo. Dovevamo rendere accidentali scene che in realtà erano state provate e riprovate fino alla perfezione. Matt ha svolto un lavoro veramente complicato, ha reso le riprese continuative con una messa in scena che sembra del tutto spontanea, mentre non lo era affatto.
L’elemento principale del film rimane comunque il mostro…
Il cinema è pieno di film sui mostri, perciò la nostra difficoltà era quella di creare un personaggio unico. Il nostro è un cucciolo, confuso e disorientato, molto collerico. E’ rimasto nell’acqua per migliaia e migliaia di anni. Per realizzarlo Abbiamo contattato un artista come Neville Page, che mi ha colpito per il suo approccio estremamente realistico. Neville ama sviluppare creature inesistenti, spiegando nel dettaglio la loro fisicità, la muscolatura e la struttura dello scheletro.
Come avete lavorato per creare attesa nel pubblico?
Volevamo fare un film di cui nessuno sapesse nulla e che il pubblico scoprisse al momento giusto, come accadeva quando eravamo bambini. Quando è uscito il primo trailer la reazione era proprio quella sperata, nessuno aveva ancora sentito parlare di questo film. Non avevamo ancora neanche il titolo. A proposito del titolo, quando abbiamo iniziato a lavorare per il film, Cloverfield era diventato un po’ il suo soprannome, ma pensavamo non fosse adatto come titolo del film. Avevamo già in mente un altro titolo, Greyshot, dal nome del ponte sotto al quale Rob e Beth si nascondono a Central Park, alla fine del film, ed eravamo pronti ad annunciare il titolo al Comic-Con. Ma tra i fan si era già diffuso il nome di Cloverfield e quindi abbiamo deciso di mantenere quel titolo.
In conclusione, qual è stato il suo vero obiettivo nel girare un film del genere?
Generare sensazioni difficili è senza dubbio uno degli scopi di un film sui mostri. È un classico di questo genere. [img4]Godzilla uscì nel 1954 all’ombra delle bombe sganciate in Giappone. All’epoca la gente sentiva ancora addosso il terrore di quella esperienza; Godzilla li ha aiutati a esternare questo terrore, trasformandolo in un essere assurdo ed esagerato. Una sorta di catarsi. Credo che questo sia uno degli aspetti più significativi del film. Molte delle immagini che propone sono familiari, orribili e spaventose, ma il contesto in cui si appaiono è grottesco e ludico, quindi il pubblico può sperimentare una catarsi senza neanche accorgersene. Le persone desiderano sperimentare queste sensazioni, elaborare le paure con cui convive, senza dover però andare in terapia o seguire un corso di studi sociali. Il film, che se ne accorgano o meno, consente loro di liberare questi timori. Nel caso invece del pubblico dei giovanissimi, sarà solo un bellissimo film sui mostri.
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