Tra una chemio e l’altra
La morte ci renderà tutti uguali, ricchi o poveri, neri o bianchi, belli o brutti, colti o ignoranti. Questo vorrebbe essere il messaggio filosofico del film, il suo nobile assunto. Quello più abietto, ma palese, è costruire un’operazione a tavolino, imperniata su due grandi mattatori che hanno fatto la storia di Hollywood. Il film è tutto qui, nella coppia di celebri protagonisti. La storia appare solo un pretesto, confezionata ad hoc per giustificare la produzione. In fondo Nicholson e Freeman non fanno altro che fare quello che hanno fatto in tutta la loro carriera, e che il pubblico si aspetta da loro. Il primo sfodera le sue espressioni da folle, praticamente immutate da quando urlava «Wendy!» in Shining (The Shining, Stanley Kubrick, 1980), mentre il secondo esibisce la sua pacatezza, la sua rassicurante saggezza di anziano uomo di colore.
Quella che vorrebbe essere la carta vincente del film, il fatto di parlare di malati terminali con humor, senza momenti patetici e senza angoscia, evapora ben presto nella dozzinale commediola, divertente quanto basta e ricca di momenti patetici piazzati qua e là. Il film si permette anche una piccola critica all’industria della sanità privata, rappresentata dal cinico miliardario che si trova a vivere il disagio patito dai suoi pazienti. Questo aspetto però viene subito lasciato cadere, e il rapporto che si instaura tra i due pazienti non ha nulla a che vedere con un’eventuale redenzione del più ricco.
Non giovano certo alla credibilità del film i fondali palesemente falsi di molti ambienti esotici, tra cui spicca una pacchianissima inquadratura sotto il sole delle piramidi egizie. Forse l’ingaggio dei due mostri sacri ha prosciugato le casse della produzione, tanto da non permettere di girare in location così lontane?
Era lecito aspettarsi di più da un regista come Rob Reiner, cui si devono Misery non deve morire (Misery, 1990) e Harry ti presento Sally (When Harry Met Sally…, 1989). Forse la vecchiaia è arrivata anche per lui.
Curiosità
In Italia si tende a non dare a un film un titolo già adoperato in passato. Ma i distributori italiani stavolta sono stati molto sbadati. Hanno intitolato la pellicola, The Bucket List in originale, come Non è mai troppo tardi senza accorgersi dell’omonimo porno gerontofilo con Rocco Siffredi. Anche quello un film sulla senilità…
A cura di Giampiero Raganelli
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